Il Natale con Gregorio Magno. 30 dicembre
La rivelazione natalizia su Gesù tocca il culmine nel mistero della presentazione al Tempio. Secondo la legge ebraica, per garantire la verità di un fatto, occorreva la deposizione di due testimoni: dopo il giusto Simeone, che nel cantico del Nunc dimittis contempla il Dio che presenta un bambino agli uomini, ecco ora la profetessa Anna, che loda il Signore per avere riconosciuto nel bambino Gesù il Messia tanto atteso. Chi non capisce il Bambino nel presepe, non capisce colui che è sulla croce. Il testo evangelico si conclude con l’osservazione della crescita del fanciullo Gesù a Nazareth in sapienza e in grazia. I Padri utilizzavano questo brano per dimostrare il dinamismo continuo nella crescita nella vita spirituale. Se un bambino non cresce, c’è un grave problema di salute; è così anche nella vita spirituale: fermarsi può risultare tragico. Crescere nella sapienza è l’ideale di tutti, ma per sapienza non tutti intendono la stessa cosa: cresce in sapienza chi ha con Dio una relazione che diventa giorno dopo giorno più intima e profonda. “Chi non mi avrà conosciuto da piccolo, non mi conoscerà da grande“, fu rivelato alla beata Angela da Foligno. Chi non capisce il bambino nel presepe, non capirà colui che pende dalla croce. Stringiamo anche noi al cuore con fede e devozione il bambino Gesù nella terra del nostro pellegrinaggio e diciamo rivolti alla Madre: “Mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria“.
Conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore
Come i servitori tengono gli occhi sempre rivolti alla faccia dei loro padroni, attenti ad ascoltare e pronti a eseguire i loro ordini, così i giusti, con la tensione spirituale che li distingue, stanno alla presenza del Signore onnipotente, con lo sguardo fisso alla sua Scrittura come se fosse la sua stessa bocca. E poiché per mezzo di questa Dio ci parla e ci manifesta la sua volontà, essi sono tanto più sicuri di essere in armonia con la sua volontà, quanto più la riconoscono nella sua parola. In tal modo le parole di lui non passano invano attraverso le loro orec-chie, ma le conservano fisse nel cuore.
Noi conserviamo le parole di Dio nel profondo del cuore, quando non ci limitiamo ad ascoltare esteriormente i suoi insegnamenti, ma li mettiamo in pratica. È quanto sta scritto della stessa Vergine madre: “Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Le 2,19). Queste parole, messe anche in pratica, vengono custodite nel profondo del cuore quando l’animo di chi le pratica non si inorgoglisce interiormente per ciò che esteriormente compie. Se l’anima che concepisce la parola di Dio, e la mette in pratica, cerca per questa via la lode umana, la parola di Dio non è più custodita nel profondo del cuore.
Dal Commento morale a Giobbe XVI,43-44
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