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La Giornata dei Cristiani d’Oriente 

da | 25 Mag 2025 | Vita ecclesiale

La Giornata dei Cristiani d’Oriente nel 2025. Il piccolo gregge che tiene accesa la luce del Vangelo in terra d’origine. Di fronte al silenzio del mondo, la loro presenza continua a parlare. Con una storia lunga due millenni, i cristiani d’Oriente affrontano il presente tra persecuzioni, esodi e speranze, custodi di una fede che ha visto nascere il cristianesimo.

Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità in questa terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo”. Con queste parole, Papa Francesco si è rivolto ai cristiani d’Oriente nel suo messaggio natalizio del 2024, riaccendendo i riflettori su una presenza spesso dimenticata, ma di importanza cruciale per il Medio Oriente e per tutta la Chiesa universale.

E Papa Leone, in occasione del Giubileo delle Chiese Orientali, notava: “La Chiesa ha bisogno di voi. Quanto è grande l’apporto che può darci oggi l’Oriente cristiano! Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie, che coinvolgono la persona umana nella sua totalità, cantano la bellezza della salvezza e suscitano lo stupore per la grandezza divina che abbraccia la piccolezza umana!”

Nel 2025, la situazione dei cristiani in Oriente resta fragile. Guerre, instabilità politica, fondamentalismi religiosi e pressioni economiche spingono molti a emigrare. Dall’Iraq alla Siria, dal Libano alla Terra Santa, le comunità cristiane vivono sotto minaccia, eppure resistono. Dietro il dato statistico — 175.672.000 fedeli, secondo l’Œuvre d’Orient (si tenga conto di paesi come l’Ucraina o l’Etiopia) — si cela una realtà vibrante, una sinfonia di popoli, lingue, riti e culture che testimonia un Cristo vivo, risorto, anche tra le rovine. 

Le radici profonde dell’Oriente cristiano

Quando parliamo di cristiani d’Oriente, facciamo riferimento a una costellazione di comunità antiche che abbracciano il Vicino Oriente arabo (Egitto, Siria, Palestina, Giordania, Libano, Iraq), con estensioni significative verso l’Etiopia, l’Eritrea, l’Armenia, la Georgia, l’India sud-occidentale (Kerala) e l’Anatolia orientale. Comunità nate nell’humus vivo dei primi secoli cristiani, alcune delle quali, secondo la tradizione, fondate direttamente dagli apostoli: si pensi ai cristiani di san Tommaso in India, o alla Chiesa di Antiochia fondata da san Pietro prima di trasferirsi a Roma.

Non sono soltanto una reliquia del passato, ma una presenza viva, radicata, spesso ignorata, talvolta fraintesa. Non sono una comunità in estinzione, come qualcuno ha frettolosamente sostenuto, ma popoli resilienti che conservano la fiamma di una fede che risale agli albori del cristianesimo. Conoscere la loro storia, oggi, è più che mai urgente.

Non reliquie, ma fratelli: una Chiesa madre

Troppe volte considerati con curiosità esotica, i cristiani d’Oriente sono in realtà i primi ad aver accolto il Vangelo. Prima di Roma, prima della cristianità occidentale, furono le Chiese di Antiochia, Gerusalemme e Alessandria a forgiare la lingua e la forma della fede cristiana. Il cristianesimo è nato in Oriente, e dunque queste comunità non sono “periferiche”, ma matrici della fede. Come ricordava il Patriarca Gregorio III incontrando San Giovanni Paolo II, «è Pietro d’Antiochia che va a trovare Pietro di Roma».

Una fede antica e la forza della resilienza

Contrariamente alla narrazione catastrofista, i cristiani d’Oriente oggi sono più numerosi in valore assoluto rispetto a un secolo fa. Alla vigilia della Prima guerra mondiale rappresentavano il 15-20% della popolazione della regione, ovvero circa 2 milioni di persone. Oggi sono circa 12 milioni, seppur ridotti in proporzione al totale. Non sono comunità morenti, ma popolazioni vive, con difficoltà reali (discriminazioni, violenze marginali), ma senza persecuzioni sistematiche. Hanno conosciuto l’umiliazione, ma anche l’umiltà, e con essa una straordinaria capacità di resilienza storica.

I cristiani orientali conservano riti e liturgie radicati nella cultura tardo-antica e nella spiritualità biblica. Le Chiese siriache portano la memoria vivente dei popoli aramaici, i copti egiziani hanno ereditato tratti della spiritualità faraonica. Le lingue liturgiche – aramaico, copto, ge’ez – sono frammenti sonori dell’umanità biblica. La loro teologia non è sempre uniforme con quella occidentale, ma complementare: pluralità di sensibilità all’interno della stessa fede.

Mai alleati del potere: una Chiesa minoritaria ma fedele

A differenza dell’Occidente, le Chiese d’Oriente non hanno mai vissuto una simbiosi con il potere politico. Dal VII secolo in poi, vivono come minoranze cristiane in Paesi a maggioranza musulmana. Per questo hanno sviluppato una spiritualità del vivere-insieme, della discrezione, della presenza silenziosa ma incisiva. Hanno imparato a dialogare – senza ingenuità – con l’islam, conoscendone limiti e luci. Come diceva Gregorio III Laham, patriarca greco-melchita: «Siamo la Chiesa dell’islam, non solo nel mondo dell’islam».

Le Chiese orientali cattoliche e il valore della sinodalità

Tra le varie famiglie cristiane d’Oriente – ortodossi, ortodossi orientali, cattolici orientali, protestanti – le Chiese cattoliche orientali hanno offerto contributi significativi alla Chiesa universale, specialmente sul piano della sinodalità. La concezione di “ecclesiologia di comunione”, cara a papa Francesco, ha radici proprio in queste Chiese. La loro esperienza millenaria dimostra che si può essere cattolici senza essere latini, che ci sono molte “dimore” nella casa del Padre, anche liturgiche e teologiche.

Una delle particolarità delle Chiese orientali cattoliche è l’ammissione al sacerdozio di uomini sposati (purché sposati prima dell’ordinazione). Un modello sempre riconosciuto dalla Chiesa universale e che papa Francesco ha ulteriormente valorizzato, rimuovendo il divieto di esercizio del ministero in Europa per i preti sposati di rito orientale. È un segno di apertura, ma anche di ascolto della tradizione viva. Anche il rito battesimale orientale, che riveste il neonato con la mitra sacerdotale, ricorda con forza che tutto il popolo di Dio è anche popolo sacerdotale.

Cristiani d’Oriente e dialogo islamo-cristiano

I cristiani d’Oriente, condividendo lingua e cultura con il mondo musulmano, sono i primi e più autentici interlocutori dell’islam. Non lo idealizzano, ma lo conoscono dall’interno. È anche grazie a loro che è nata la Dichiarazione sulla fraternità umana firmata nel 2019 ad Abu Dhabi dal grande imam di al-Azhar e da papa Francesco. Le modalità del vivere insieme – in società dove Dio ha un posto, ma dove Dio lascia spazio anche alla libertà dell’uomo – sono testimonianze che l’Occidente fatica a comprendere, ma che queste Chiese vivono da secoli. 

Essere cattolici non significa solo essere “romani”

I cristiani d’Oriente ci ricordano che la cattolicità non è sinonimo di romanità. Non esiste un unico modo di essere Chiesa, ma una comunione di diversità. Teologie plurali, riti differenti, modelli pastorali variegati: tutto questo arricchisce, non indebolisce. I cristiani d’Oriente, con la loro millenaria esperienza di fede vissuta nell’ombra, hanno molto da insegnare a un’Europa secolarizzata e stanca, che spesso ha dimenticato le sue radici spirituali.

Testimoni di pace e di dialogo

In Oriente, il cristianesimo non è mai stato un’“importazione”. È qui che tutto ha avuto inizio: Betlemme, Nazaret, Gerusalemme. Le antiche Chiese orientali — maronita, melchita, chaldèa, copta, armena — portano in sé la memoria viva degli apostoli, dei martiri e dei Padri della Chiesa. Sono il cuore pulsante della fede apostolica, e da queste terre il Vangelo si è irradiato in tutto il mondo.

Queste Chiese, pur nella diversità teologica e liturgica, condividono una missione comune: essere sale della terra e luce del mondo in contesti spesso segnati dalla sofferenza. La loro esistenza è un miracolo quotidiano. In un Medio Oriente ferito da decenni di guerre, sono spesso ponti culturali, mediatori, educatori, operatori di pace.

La loro fede si manifesta nell’impegno quotidiano per l’istruzione, la sanità, la solidarietà. Non evangelizzano con clamore, ma testimoniano con la vita. Sono lì, presenti, come il lievito nella pasta, come scrive Papa Francesco, rendendo il cristianesimo visibile in luoghi dove rischia di diventare solo memoria archeologica.

Nel 2025, il futuro dei cristiani d’Oriente è incerto, ma la loro missione è chiara: continuare ad essere luce in mezzo all’oscurità, testimoni di una speranza che viene da lontano ma parla ancora oggi. Questo “ecumenismo del sangue”, nato dalle difficoltà condivise, è anche segno di speranza. La loro comunione concreta, fatta di gesti semplici e quotidiani, è un segno profetico per tutta la Chiesa. Perché come affermava Tertulliano, “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” — e quel seme continua a germogliare, contro ogni previsione, nelle terre da cui tutto è cominciato.

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