L’Avvento con Gregorio Magno. 22 dicembre 2023, terzo venerdì di Avvento
Il Magnificat sulle labbra di Maria è una delle preghiere più belle del Nuovo Testamento, anche se con evidenti risonanze veterotestamentarie. Maria, esperta nel custodire le parole divine nel suo cuore, si esprime infatti con le parole del cantico di Anna. Tutta la vita di Maria è costellata di benedizioni, tutta la sua vita è la realizzazione della parola che ha dato in risposta all’angelo: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38); proprio per questo esplode in lei quest’inno meraviglioso. Il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva: fatta di humus, terra, confessa il suo sentimento di inadeguatezza nel divenire la donna celeste, vestita di sole e di gloria. Umiltà significa dare posto a Dio, affinché Egli possa operare. Sant’Agostino la paragona all’albero: in basso mette radici, in alto eleva la sua chioma. Chi si umilia agli occhi di Dio, allo stesso momento diventa grande, perché Dio lo colma dei suoi doni. Secondo la bella espressione di san Gregorio di Nissa, “l’umiltà è una discesa verso l’alto”. Come Maria, se constatiamo la nostra povertà, anche noi possiamo diventare luogo santo e terra santa, e Cristo sarà generato in noi mediante l’opera della sua grazia.
Attesa e desiderio
“Io grido a te e tu non mi rispondi, sto davanti a te e tu non mi guardi (Gb 30,20).
La santa Chiesa in tempo di persecuzione mediante la fede sta davanti a Dio, mediante li desiderio grida verso di lui. Ma si lamenta che Dio quasi non la guardi, quando vede che nella tribolazione i suoi voti rimangono inesauditi. Il fatto è che quando i suoi santi sono oppressi dalle persecuzioni degli avversari e gridano alui con insistenza di essere liberati, Dio è solito, per un misterioso disegno, non esaudire le voci dei supplicanti, affinché crescano i meriti dei pazienti, e così tanto più essi vengono esauditi in ordine al merito quanto meno prontamente vengono esauditi i loro voti. Per cui altrove è scritto: “Dio mio, invoco giorno e notte, e non mi rispondi”‘ (Sal 21,3). Si spiega li vantaggio del ritardo con cui vengono esauditi, quando subito dopo si aggiunge: “E non a mia insipienza”. Ecco, affinché possa crescere la loro sapienza, ai santi giova ottenere in ritardo l’esaudimento delle loro suppliche, affinché
il ritardo faccia crescere il desiderio e il desiderio aumenti l’intelletto. Se poi l’intelletto è teso, gli si spalanca un affetto più ardente verso Dio. L’affetto, a sua volta, diventa tanto più capace di meritare i beni celesti, quanto più longanime diventa l’attesa. Frattanto, però, la sofferenza costringe la pazienza dei santi a gridare; pur traendo profitto dal ritardo, essi temono che venendo a manc loro le forze, possano incorrere nella condanna e nella riprovazione.
Dal Commeno morale a Giobbe XX,61