Periodico di informazione religiosa

L’ecclesiologia di papa Francesco e la riscoperta del sinodo

by | 29 Mar 2023 | Teologia

Lunedì 27 marzo 2023 ore 16.45, presso la Sala Capitolo del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, ha avuto luogo il seminario “L’ecclesiologia di papa Francesco e la riscoperta del sinodo“. Papa Francesco ha invitato a riscoprire l’importanza dell’istituto giuridico del Sinodo nell’ambito della vita ecclesiale. L’Ateneo si propone di approfondire quali siano le radici che hanno spinto le comunità ecclesiali a utilizzare lo strumento del Sinodo per il discernimento e il governo della Chiesa. A tal fine, ha organizzato quattro appuntamenti che cercheranno di far emergere come le diverse correnti teologiche nel corso della storia abbiano determinato la prospettiva con la quale il Sinodo veniva convocato e impiegato nella vita ecclesiale. Quello del 27 marzo è stato l’incontro conclusivo: sono intervenuti Mons. Armando Matteo, Segretario per la sezione dottrinale del Dicastero per la dottrina della fede, Opzione Francesco. Immaginare il cristianesimo di nuovo. A seguire Mons Fabio Baggio, Sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, L’ecclesiologia di papa Francesco. L’accoglienza del diverso e le comunità cristiane e il Prof. Andrea GrilloMetamorfosi della sinodalità e questione liturgica.

In questo articolo riportiamo ampi estratti del discorso di Mons. Armando Matteo, che ha impegnato la maggior parte dei lavori del convegno e che sarà pubblicato in veste ufficiale negli atti, dove si evidenzia chiaramente l’ecclesiologia di Papa Francesco.

Innanzitutto la giustificazione del titolo dell’intervento: “Parlo di Opzione Francesco e lo faccio in quanto sono convinto che mai, come in quest’ora della storia, noi credenti delle Chiese che vivono in Occidente siamo davanti a un bivio, a una scelta, alla necessità di compiere una opzione. Da una parte c’è la possibilità di fare come si è sempre fatto, sperando un po’ follemente di ottenere risultati diversi di quello che sinora abbiamo potuto raccogliere negli ultimi decenni”. Il riferimento è al clamoroso insuccesso dell’iniziazione cristiana: da almeno tre generazioni, cioè i nati dopo il 1980, il disinteresse nei confronti del cristianesimo è sempre più preoccupante. “Dall’altra parte si staglia l’Opzione Francesco, che consiste nel rimettere al centro dell’interesse di noi credenti la maternità della Chiesa. Al cuore dell’ecclesiologia di Papa Francesco, c’è la maternità, la generatività. Noi siamo la nostra missione, la chiesa è la sua missione, è quella di dare nuovi credenti al mondo e alla storia. giovani uomini e giovani donne che incontrandosi con Gesù, incontrano un senso dell’umano nuovo e provano a contagiare di vangelo tutto il resto della storia”. L’Opzione Francesco mette al centro la maternità della Chiesa, affinché sia attuale e feconda di nuovi discepoli e sia in grado di fermentare ogni frammento di vita umano con il lievito Vangelo.

E qui c’è un’urgenza, c’è da prendere delle decisioni” – prosegue Mons. Matteo – “Non possiamo aspettare il miracolo. Papa Francesco lo dice chiaramente: non possiamo lasciare né le cose come stanno, né semplicemente ripetere il già fatto”. Viviamo in un periodo di denatalità ecclesiale: “per fortuna ci son ancora tanti vecchi e tante vecchie che credono, ma il saldo è sempre negativo”. Al centro di questa interruzione del carattere generativo della Chiesa c’è un fenomeno che Papa Francesco ha identificato sin dagli inizi, nel novembre del 2013: è l’interruzione della catena della trasmissione generazionale della fede. “E questa catena della trasmissione della fede generazionale è stata non senza ambivalenze nei secoli la condizione di fondo del nostro agire pastorale, del nostro essere e fare Chiesa e in particolare del sistema di iniziazione cristiana. Detto fuori dai denti: in Occidente le famiglie cattoliche non sono cristiane. I genitori cattolici non sono cristiani se non in una piccolissima percentuale, secondo le mie stime non più del 10% delle famiglie cattoliche. E sotto queste condizioni il carattere materno della Chiesa non può funzionare”. Mons. Matteo fa un esempio molto concreto, divertente, ma allo stesso tempo significativo, che risale al periodo in cui è stato parroco a San Gregorio alla Magliana: “Chiedemmo ai giovani della Magliana: avete mai visto papà pregare? Avete mai visto mamma pregare? Un silenzio estremamente imbarazzante, che venne rotto da uno di questi giovani, il quale disse: Quando la Roma gioca fuori casa, papà si avvicina al nostro televisore e secondo me prega. Al che una ragazza, incoraggiata da questo surplus di sincerità, aggiunse che la madre ogni domenica mattina prima di salire sulla bilancia recitava un gloria al Padre. Questi sono i residui del cristianesimo domestico”.

Cosa fare al riguardo? “Mi pare di poter rintracciare nel magistero di Papa Francesco una felice road map per affrontare questa rottura della catena della trasmissione della fede ed è una road map felice, ma non facile. Ciò che ci chiede è di obbedire all’imperativo di immaginare il cristianesimo di nuovo”. Non serve spostare qualche pedina sul tavolo delle nostre programmazioni pastorali, ma siamo chiamati a propiziare una immagine nuova dell’esperienza del credere cristiano, “le ragioni per cui continuiamo a dare retta a quel giovane rabbino morto come maledetto da Dio e dalgi uomini alle porte della Città Santa, nel quale tuttavia noi riconosciamo il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo”. È la sfida di trovarsi di fronte a dei cristiani che oggi non sono più quelli di una volta: “parlo degli adulti nati dopo la seconda guerra mondiale, dal ’46 all’80. In Italia siamo 31 milioni. Questa parte della popolazione ha subito un cambiamento radicale nel proprio essere al mondo, che ha impattato anche con la fede cristiana ricevuta. E il cristianesimo ci piaccia o no è per gli adulti. Il destinatario unico del cristianesimo è l’adulto, non esiste un cristianesimo per i bambini; è per gli adulti”.

Nel discorso alla Curia romana per gli auguri di natale del 21 dicembre 2019, Papa Francesco già dava indicazioni per affrontare la situazione critica nella quale ci troviamo. Innanzitutto sottolineava il cambiamento d’epoca: “quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. Siamo, dunque, in uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza”. Questa è diventata una frase slogan di Papa Francesco, non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Significa, continua Mons. Matteo, “prendere atto che siamo davvero davanti a un cambiamento straordinario, un cambiamento che tocca il senso dell’umano. Esiste un salto qualitativamente incontenibile rispetto all’esperienza dell’umano. Ciò che fa la differenza fra me e i miei nonni e me e i miei genitori, non è Netflix o l’Iphone 14, ma che noi mangiamo, dormiamo, ci prendiamo cura della nostra salute, del nostro aspetto fisico, di tutto ciò che sta a indicare l’esperienza umana nel mondo, in milioni di modi diversi rispetto allora. È il modo di abitare l’umano che è cambiato”. Papa Francesco indica questo nuovo modo di abitare l’umano con una espressione particolarmente pertinente: “Siamo entrati nell’era della sovranità del soggetto umano”. Siamo ormai diventati sovrani sulle nostre esperienze di vita, emancipati, liberi e nella logica della potenza: “questa nuova sovranità manda in crisi la cristianità, cioè manda in crisi una certa immagine del cristianesimo, esattamente l’immagine con la quale si accreditavano le buone ragioni per credere in quel rabbino e impongono la necessità di una nuova immagine del cristianesimo”. E ancora: “Se volete una frase forte, noi siamo una nuova specie. I nati dopo del ’46, costituiscono una specie nuova dell’umano. La differenza tra noi e i nostri più prossimi parenti è superiore alla continuità”.

Mons. Matteo descrive brevemente i tratti che definiscono la nostra età:

La longevità. “Grazie alla scienza e alla medicina abbiamo guadagnato 30 anni di vita in più. Questo allontana l’esperienza della morte, della vita breve, ricalcola completamente il discorso dell’età della vita. Pensate tutte le generazioni che ci hanno preceduto avevano un’unica grande certezza, i maschi a 55 anni morivano e di fatti non c’era il divorzio, non c’era bisogno!”.

Il tempo. Il guadagno di tempo che noi abbiamo grazie all’arrivo della tecnologia è enorme: “la vita delle donne si è consumata per anni dietro le faccende domestiche, oggi abbiamo i grandi elettrodomestici, tutti coloro che servono per la conserva e la cottura dei cibi, la pulizia delle stoviglie e cosi via. I tempi di lavoro sono completamente cambiati. Tutto questo permette di avere tempo per se stessi”.

L’allontanamento della sofferenza: “noi abbiamo una capacità di contenere la sofferenza e il dolore sinora mai sperimentata dalla specie, grazie allo sviluppo della ricerca farmaceutica. Dagli anni ’60 in poi la ricerca farmaceutica ha compiuto molti più progressi che dall’apparizione della nostra specie 6 milioni di fa al 1960. Cosa non dire delle scienze dell’umano, la psiconanalisi e tutte le sue varianti? Abbiamo la capacità di contenere ogni tipo di trauma, fisico e anche psichico”.

Il benessere economico, “che trova il suo sintomo più importante nel fatto che abbiamo eliminato la fame. Da sempre la nostra specie ha avuto problema nel trovare il cibo”, mentre oggi in Occidente il nostro problema è l’obesità. “Dal problema delle nonne di trovare come mettere insieme pranzo e cena al problema delle nipoti e dei nipoti di trovare il dietologo o il farmaco più efficace per essere pronti all’appuntamento con il costume da bagno”.

La comunicazione digitale. “La nostra, che è sempre stata una specie in difetto di conoscenze, adesso grazie a internet ha una straordinario accesso alle conoscenze e anche alla possibilità di prendere parola”. Michel De Certeau scriveva che “il ’68 è la presa di parola delle folle e dell’uomo comune. Noi siamo l’incarnazione di ciò. Ovviamente con tutto il bene e il male: spesso il web diventa il luogo dove ciascuno espone il santissimo sacramento della sua stupidità”.

In conclusione, come possiamo mettere insieme tutte queste considerazioni? “L’umanità è passata in maniera rapidissima dalla valle delle lacrime dei nostri genitori alla pianura del sorriso onnipresente di Amazon. Noi siamo i cittadini del sorriso di Amazon. Non siamo più quelli della valle delle lacrime”. Il cambiamento radicale per Papa Francesco è questo: “Non siamo più nella cristianità, nel senso che non c’è più un’immagine accreditata e positiva del cristianesimo presso gli adulti del nostro tempo. Il cristianesimo, che ancora sopravvive per inerzia, è un cristianesimo che ha di mira la condizione della valle delle lacrime. Per inerzia la nostra pastorale e il nostro modo di essere, fare e dire chiesa pensano ancora al soggetto adulto contemporaneo, come se avesse una vita breve, come se avesse una paura intensa della morte, come se avesse continuamente traumi psichici e fisici e di altra natura, come se avesse ancora fame concreta e come se non avesse più possibilità di esprimersi. Quindi un soggetto frustrato”.

Perciò è necessario per Papa Francesco un deciso cambiamo della mentalità pastorale: “La mentalità pastorale che noi abbiamo ricevuto è un cristianesimo di consolazione, di contenimento dell’angoscia del diventare adulto”. E con una not di humour: “Le nostre mamme e nonne avevano una vita terribile: l’unica soddisfazione era che i loro mariti a 55 anni morivano. Adesso che i mariti non muoiono a 55 anni, le donne non si sposano più”. Il vero problema, che ha portato alla rottura della trasmissione generazionale della fede, è che “presso i nostri adulti vige un’immagine dell’esperienza credente che non può essere trasmessa, perché è un’immagine del cristianesimo come un’esperienza limite. Gli adulti, i genitori dei nostri bambini e adolescenti passano davanti alle nostre parrocchie e dicono: in caso di lutto, se mi viene un tumore, se mi rubano la macchina, se mi muore il cane o la suocera so dove devo andare. Ma nessuno, per citare San Benedetto, che voglia vedere giorni felici pensa che la Chiesa sia una casa adatta. Anzi, va esattamente dall’altra parte”.

Ecco la sfida di Papa Francesco, quella di immaginare un cristianesimo di nuovo, non un nuovo cristianesimo. Si tratta di dire in modo nuovo le ragioni per cui affidare la propria esistenza adulta a Gesù di Nazareth, facendo leva su altre parole: “la parola della gioia, dell’amicizia, dell’incontro, dell’innamoramento, del contagio, di questa vita che risplende di bellezza nell’incontro con Gesù”. In fondo il sogno dell’Opzione Francesco è quella di realizzare una tale trasformazione delle dinamiche interne di ogni parrocchia, “che coloro che passano non pensino più: Ecco se succede qualcosa di molto grave, vado li; ma che possano pensare che coloro che abitano quei luoghi sono persone che si intrattengono intorno al Vangelo di Gesù, alla narrazione dell’umano che è presente in quel vangelo, intorno alle forme di carità e fraternità che scaturiscono da quella narrazione dell’umano”. Solo cosi potrà riprendersi e restaurarsi la trasmissione generazionale della fede. Da questo punto di vista ritengo che l’esperienza sinodale sia un’ottima occasione per fare questo tipo di operazione, perché come ha detto Papa Francesco, citando Congar, “il nostro compito non è quello di fare un’altra chiesa, ma quello di fare una chiesa diversa”.

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