Roma. A Palazzo Salviati, in Piazza della Rovere, all’interno della 76ª sessione di studio dello IASD – l’Alto Istituto di Formazione Interforze della Difesa italiana, che “persegue obiettivi di alta formazione e professionalizzazione della dirigenza militare e civile della Difesa e del Corpo della Guardia di Finanza, di Ufficiali (Colonnelli e Generali) di Paesi Alleati ed amici nonché di esponenti delle Istituzioni, delle diverse realtà economiche, sociali ed industriali, delle Università, dell’informazione, delle libere professioni e di Enti/organismi privati nazionali” – nella programmazione didattica focalizzata ad approfondire le implicazioni che i conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese hanno palesato sul sistema delle relazioni internazionali, sulla strategia globale di difesa e sicurezza, in particolare dell’Alleanza Atlantica e dell’UE, nonché i relativi riflessi in campo politico-economico, industriale, comunicativo e organizzativo, nell’ambito del 1° seminario “Cultura organizzativa e gestione delle risorse umane”, nel primo modulo, “DINAMICA DELLE STRUTTURE ORGANIZZATIVE”, si è parlato anche di prossimità samaritana.
Questa mattina, il Direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale dell’Emergenza della Chiesa aquilana e dell’ISSR ‘Fides et Ratio’ di L’Aquila, Don Daniele Pinton, ha tenuto una relazione sugli ‘Effetti post-traumatici dei conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese, tra memoria e futuro. Alla scuola della solidarietà samaritana e della cooperazione tra i popoli’, parlando della prossimità samaritana, come linguaggio di azione e risoluzione dei ‘traumi sommersi’, non solo per effetto delle catastrofi sismiche e ambientali, ma anche degli atti terroristici e bellici, come la guerra in ucraina e quella israelo-palestinese, allargata anche al Libano, che da più di un anno produce distruzione e morte.
Don Pinton, durante la sua relazione e anche nel dibattito successivo, facendo tesoro del magistero episcopale del Card. Giuseppe Petrocchi sul tema della pastorale samaritana e del ‘terremoto dell’anima’, ha analizzato attraverso alcune testimonianze vive sui conflitti israelo-palestinese e ucraino, come l’esperienza aquilana sulle modalità di azione a favore delle vittime del sisma con specifici effetti post traumatici, possa fare scuola anche per i sopravvissuti alle guerre in essere con i loro traumi collettivi.
Pensando a quanto sta accadendo in Medio Oriente, si ha la tentazione di cercare a tutti i costi un colpevole; di trovare chi, per primo ha innescato la miccia di una spirale di violenza reciproca che va avanti da oltre 70 anni. Ma, come ha avuto più volte modo di dire Papa Francesco, con uno sguardo aperto su tutti: “Il terrorismo e gli estremismi non risolvono il conflitto tra israeliani e palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza e la vendetta e fanno solo soffrire tutti. Il Medio Oriente ha bisogno di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità. La guerra non porta a nessuna soluzione”.
Don Pinton, partendo da una intervista rilasciata dal Card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme al giornalista Roberto Cetera, a 200 giorni dallo scoppio della guerra israelo-palestinese, in cui si afferma che di fronte alle vittime della guerra, una dinamica importante è la necessità dell’ascolto, in quanto ognuno ha una sua narrazione, un suo dolore, una sua sofferenza, che lamenta non essere abbastanza ascoltata, compresa, confortata, ha volutamente ripreso alcune affermazioni del Cardinale Giuseppe Petrocchi, ideatore del percorso sul Terremoto dell’anima nella Chiesa aquilana e sulla prossimità samaritana, per mostrare come gli eventi traumatici offrono l’opportunità di elaborare un modello di vera ricerca interdisciplinare, in cui la letteratura narrativa deve integrarsi con la ricerca medica, psicologica, sociologica, ecclesiale e urbana, che si può applicare anche agli effetti post traumatici per trauma causato da esperienze belliche.
In Italia, dal nord al sud tutti coloro che sono impegnati nel supportare quotidianamente la popolazione segnata da queste dinamiche, come anche coloro che svolgono attività di supporto umanitario nei luoghi dove sono in corso azioni belliche, sono anch’essi esposti agli effetti di queste problematiche e convivono in questi giorni di emergenza sanitaria come quella nella striscia di Gaza con il drammatico paradosso di dover restare vicini alla gente senza aumentare il contagio.
Don Daniele ha ricordato come, di fronte ai drammi e alle calamità, l’esperienza aquilana, ci ha insegnato che è necessario ‘fare rete’, per potere insieme cercare di comprendere sempre di più in profondità ciò che è avvenuto nella mente e nel cuore delle persone e cercare di dare risposte significative e portatrici davvero di novità rispetto a ciò che finora abbiamo constatato”.
Inoltre, nel dibattito che è seguito alla relazione, don Pinton ha affermato che di fronte al conflitto russo-ucraino e israelo-palestinese, è necessario considerare le implicazioni di queste crisi interconnesse. Va messa in campo non solo ogni azione utile per l’ottenimento della pace, ma anche interventi che si prolunghino nel tempo, sia per il sostegno delle popolazioni colpite dalla guerra in ambito di aiuti umanitari, sia in un sinergico affiancamento delle popolazioni che vivranno effetti post-traumatici per il superamento del trauma, con una azione di prossimità samaritana che può diventare lo stile comportamentale non solo per le organizzazioni con orientamento cristiano, ma anche per le istituzioni laiche vocate al soccorso.
Finora, le crisi interconnesse (sanitaria, socio-economica, bellica ed ecologica) stanno allargando il divario non solo tra ricchi e poveri, ma anche tra le zone di pace, di prosperità e di giustizia ambientale e le zone di conflitto, di privazione e di devastazione ecologica. Non ci può essere guarigione senza pace.
Oggi più che mai, è necessaria una globalizzazione della solidarietà che rifletta la nostra interdipendenza globale che passa da una “cultura dell’incontro” e “cultura samaritana”, in cui uomini e donne si scoprano l’un l’altro come membri di una stessa famiglia umana, e che nella solidarietà, nella fiducia reciproca, nella non-violenza e nell’incontro tra i popoli scoprano il bene comune.