Periodico di informazione religiosa

Martedì della quarta settimana di Quaresima. La Quaresima con Gregorio Magno

da | 12 Mar 2024 | Monasteria

Martedì della quarta settimana di Quaresima

Seduto ai bordi della speranza, impotente e deluso, il paralitico descritto di Giovanni è una figura che sentiamo molto vicina a noi. Agli uomini con le gambe sane la legge sul sabato proibiva movimenti inutili; invece Gesù, proprio di sabato, al paralitico incapace di muoversi ordina di camminare e addirittura di portare da sé il letto. Il paralitico non era in grado di farlo da solo, ma all’invito di Gesù ci riesce. Il peccato si manifesta come una sorta di paralisi spirituale, un’incapacità di usare i propri talenti per fare il bene. Quante volte ci siamo sentiti paralizzati dalle sofferenze, dalle circostanze, dal peccato. Questa paralisi può raggiungere forme quasi patologiche, quando si tratta di passioni ormai inveterate e diventa sempre più drammatico “camminare fuori”. Ci vuole una grande forza di volontà per tornare a guarire da queste esperienze; anzi, in molti casi ci vuole proprio un miracolo della grazia per spingere l’uomo ad alzarsi e camminare. Per questo Cristo ha lasciato l’efficacia della sua Parola e della grazia che sgorga dal suo costato aperto. “Vuoi guarire?”. Il Signore continua a chiederlo a ognuno di noi, egli che è venuto a immergerci nel profondo abisso del suo inesauribile amore.

Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele 2, 2, 13

Se, come Giacobbe, teniamo stretto l’angelo, zoppichiamo con un piede, perché crescendo in noi la forza dell’amore divino, inevitabilmente s’indebolisce la forza della carne. Chi zoppica da un piede, si appoggia unicamente sul piede sano, perché essendosi ormai inaridito in lui l’amore terreno, si appoggia con tutte le sue forze unicamente sull’amore di Dio. E su questo si regge; perché ormai tiene sospeso da terra quel piede dell’amore mondano ch’era solito poggiare in terra.
Perciò anche noi, ritornando ai nostri genitori, cioè ai padri spirituali, lungo la via teniamo stretto l’angelo, per poter raggiungere Dio con intima soavità. È infatti molto amabile la dolcezza della vita contemplativa: essa rapisce l’anima trasportandola al di sopra di se stessa, le insegna a scoprire le cose celesti facendole disprezzare le cose terrene, svela agli occhi dell’anima le cose spirituali, nascondendo quelle sensibili. Per cui dice bene la Chiesa nel Cantico dei Cantici: “Io dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5,2). Chi veglia col cuore, dorme, perché progredendo interiormente mediante la contemplazione, esteriormente riposa da ogni occupazione che agita.

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