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Quarta domenica di Quaresima. La Quaresima con Gregorio Magno

da | 10 Mar 2024 | Monasteria

Quarta domenica di Quaresima

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Questo passo di Giovanni ci sorprende, se si confronta con altri dello stesso: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15,19). Come intendere allora il termine mondo? Il mondo è la società corrotta, la tentazione al male, i principi che contraddicono il Vangelo o la bellezza e l’ordine dell’ambiente in cui siamo collocati da Dio? I sistemi dualistici del passato tentavano di trovare nell’universo due differenti realtà: una radicalmente e buona ed una cattiva. La conclusione era chiara: l’uomo che vuole amare Dio non deve amare il mondo. Ma la Bibbia è contro il dualismo: tutto ciò che esiste è creato da Dio e quindi fondamentalmente buono. Gli autori orientali, più contemplativi, parlano con entusiasmo della bellezza del mondo, della sua armonia e del suo valore simbolico. San Basilio nelle sue omelie sull’Esamerone mostra che il cielo, la terra, le piante, gli animali, tutto è opera di Dio, tutto è visto come opera buona. Il cosmo creato è un bel giardino, un paradiso preparato per colui che andrà ad abitarlo: l’uomo, creato a immagine di Dio. Tutto ci serve a custodire il continuo ricordo di Dio, della sua grandezza e bontà. Il mondo visibile è buono, diceva San Gregorio di Nazianzo, perché è ordine perfetto, armonia e bellezza. Però saremmo degli idealisti se dicessimo che tutti gli uomini vedono il mondo in questa prospettiva. Al contrario: proprio la bellezza e la ricchezza del creato conducono alcuni uomini proprio all’opposto, non al ricordo, ma alla dimenticanza di Dio. Quanti usano le cose buone per fare il male! E il cosmo diventa così quel mondo inteso in senso negativo. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”, ricordiamoci di fuggire da quel mondo che non è un mezzo per il servizio di Dio, ma contemporaneamente amiamo lo stesso mondo quando ci conduce a Dio. 

Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli II, 38, 9-12

Occorre far di tutto per non presentarsi al convito di nozze senza la veste nuziale. Siccome però, per grazia del Signore, già siete entrati nella casa delle nozze, cioè nella santa Chiesa, fate di tutto perché il re, entrando, non trovi qualcosa da disapprovare nelle disposizioni della vostra mente. Con il timore nell’anima dobbiamo riflettere sulle parole: il re poi entrò per vedere i commensali e si accorse di un uomo che non portava l’abito nuziale […] Cosa allora potrà indicare la veste nuziale se non la carità? Entra infatti nella sala del banchetto senza l’invito nuziale, chi stando nella santa Chiesa ha la fede ma non la carità. È esatto chiamare la carità col nome di veste nuziale, perché il nostro Creatore ne fu rivestito quando celebrò le nozze con cui si unì alla santa Chiesa. Solo, infatti, l’amore di Dio fece in modo che il suo Unigenito unisse a sé la mente degli eletti, come scrive Giovanni: Dio ha talmente amato il mondo da dare il Figlio suo Unigenito per noi (Gv 3,16). Questi dunque, venuto tra gli uomini spinto dall’amore, ci ha reso noto che la carità è l’abito nuziale. Ognuno di voi dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio, già ha preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della carità. Certamente, fratelli, quando uno è invitato a un rito di nozze qui sulla terra, cambia il vestito per mostrare anche con l’eleganza dell’abito di sentirsi unito alla gioia dello sposo e della sposa, e prova vergogna ad apparire trasandato nelle vesti in mezzo alla gioia di chi partecipa alla festa. Noi invece partecipiamo a un rito divino di nozze e non ci curiamo di mutare la veste del cuore. Gli angeli sentono una gioia comune quando gli eletti entrano in Paradiso. Con quale animo allora potremo partecipare a queste feste spirituali se siamo privi della veste nuziale, cioè della carità, che sola ci dona decoro e bellezza?

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