Mercoledì della quarta settimana di Quaresima
A quel gruppo di ebrei che lo accusa di violare il sabato, non conformandosi al riposo di Dio, Gesù rivela la propria identità di Figlio di Dio, che in tutto agisce secondo ciò che vede e ascolta dal Padre. Il Padre dona al Figlio ciò che appartiene a Lui solo, il potere sulla vita e l’autorità del giudizio. E questa intima relazione tra Padre e Figlio può estendersi anche a noi, con l’ascolto obbediente della parola di Gesù. Vivere da figli: questa è l’eredità eterna, questo è il tesoro segreto che sostiene ogni giorno nella fatica. Gesù ci chiama a diventare già in questa vita – senza attenderne un’altra! – uomini di resurrezione: una vita più profonda, più intensa, che alla fine sconvolga il senso stesso della morte. È vero, siamo circondati dal linguaggio della morte, ma i cristiani hanno il compito di benedire e testimoniare la vita. Forse annunciare in modo troppo educato e addomesticato: “Cristo è risorto”, non funziona più. Ma se diciamo Cristo risorto e tutti noi siamo risorti in lui, allora nel più profondo di noi l’angoscia si trasforma in fiducia e dalla paura della morte passiamo al linguaggio della vita. Oggi i cristiani vivono praticamente in minoranza e quasi sempre più in diaspora. Eppure questo piccolo popolo è stato chiamato a diventare servitore povero e pacifico del Dio crocifisso e risorto in vista della salvezza universale e della trasfigurazione dell’universo.
Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe 16, 37
Se Dio onnipotente giudicasse con rigore il giusto, questo rimarrebbe schiacciato sotto il peso della sua grandezza. Ora Giobbe, volendo sfuggire alla forza di Dio, si appella alla sua debolezza, poiché sta scritto: “Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,25). Perciò Giobbe aggiunge: “Voglio che Dio mi affronti, non spiegando la sua forza, e che non mi schiacci sotto il peso della sua grandezza” (Gb 23,6). Cioè, a giudicare il mio operato Dio mandi il suo Figlio unige-nito, e allora potrò vincere l’avversario che m’insidia e sarò assolto nel giudizio. Se infatti il Figlio unigenito di Dio rimanesse invisibile nella potenza della sua divinità senza assumere in alcun modo la nostra debolezza, quando mai l’uomo debole troverebbe accesso alla sua grazia? Considerando il peso della sua grandezza, anziché aiutato se ne sentirebbe oppresso. Ma colui che è più forte d’ogni cosa s’è mostrato debole ir ari cos e cost, mentre si adegua a noi assumendo la nostre debolezza, ci solleva alla sua forza inesauribile. Non potevamo poi cost picoli, raggiungere l’altezza della sua divinità, allore per li uomini lui si è steso a terra facendosi uomo; e così nos amo saliti sulle spalle di lui che giaceva a terra. Egli si è alzato e noi siamo stati sollevati in alto.