Mercoledì della terza settimana di Quaresima
Oggi la liturgia ci riconduce a una via precisa, retta, che porta direttamente al fine. Il punto di partenza è l’ascolto della Parola, i passi da compiere sono la quotidiana attuazione della Parola, la meta è l’incontro con la Parola. Se il cammino sembra esigente, per chi lo percorre diventa stimolo a dilatare il cuore. Oggi però la parola legge ci sembra più sinonimo di schiavitù, freddezza, persino ipocrisia. Cosa potrebbe esserci di più lontano dalla creatività e della spontaneità dell’amore? Ma la legge è la sintesi dei comandamenti di Dio. Gesù fa capire che la legge è buona, perché comanda ciò che fa crescere la vita e vieta ciò che la diminuisce. Lui stesso ha detto: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14,15). Il cristiano veramente amico di Dio teme di trasgredire anche il minimo comandamento divino, per non essere il più piccolo nel regno dei cieli! Ma la legge, presa da sola, non salva nessuno; anzi, i Padri hanno mostrato che molto di quello che Dio chiedeva nel Primo Testamento serviva a preparare la venuta di Cristo. Dopo la sua venuta quelle prescrizioni non ebbero più ragion d’essere: perciò è necessario conoscere il senso dei singoli comandamenti e per comprenderne l’intima validità. Gesù è venuto a liberarci dalla schiavitù del vizio, non abolendo la legge, bensì compiendola in modo superiore e divino. Gesù compie la volontà del Padre amando i fratelli e l’amore non trascura neanche il minimo dettaglio: l’amore manifesta la propria grandezza anche nell’attenzioni minime. Chi ama compia liberamente tutto, ma non in forza della legge, bensì dell’amore.
Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe 19, 38
Prima le opere di giustizia e poi quelle di misericordia. Sono apprezzabili le tue opere di misericordia se prima pratichi quelle della giustizia. Molti si dedicano a opere di misericordia verso il prossimo, ma non cessano di compiere ingiustizie. Se veramente intendono esercitare la misericordia verso il prossimo, devono prima aver misericordia di se stessi vivendo in modo giusto. Onde sta scritto: “Abbi misericordia della tua anima, piacendo a Dio” (Sir 30,24). Se dunque intendi esercitare la misericordia verso il prossimo, devi cominciare ad aver misericordia di te. Sta scritto infatti: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,19). Come può esser buono avendo misericordia d’un altro, chi rimane cattivo verso se stesso vivendo in modo ingiusto? Per cui un certo sapiente dice: “Chi è cattivo con se stesso, con chi si mostrerà buono?” (Sir 14,5).
Perché si possano esercitare esteriormente in modo autentico le opere di misericordia, si devono conciliare queste due cose: l’uomo che dona e la cosa che viene donata. Ma l’uomo è di gran lunga superiore a ogni cosa. E così chi offre un aiuto materiale al prossimo che ha bisogno, ma non preserva la propria vita dal male, offre a Dio una cosa sua, e se stesso al peccato; offre al Creatore ciò che vale meno, e riserva all’iniquità ciò che vale đi più. Si offre a Dio la vera rettitudine quando i rami della bontà provengono dalla radice della giustizia. E poiché nelle opere di misericordia presso il giudice divino conta di più l’animo con cui si agisce, che non l’opera in se stessa, si noti che Giobbe dichiara d’esser stato occhio per il cieco e piede per lo zoppo: porgeva la mano a quello, e sosteneva questo portandolo.