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San Barnaba, l’apostolo dimenticato 

da | 11 Giu 2025 | Vita ecclesiale

Le chiese d’Oriente e d’Occidente oggi ricordano la memoria di Barnaba, uomo dai molti volti: levita cipriota, benefattore radicale, apostolo dimenticato e simbolo di una chiesa in bilico tra le sue origini giudaiche e la vocazione universale. Ma chi fu davvero Barnaba?

Il “figlio della consolazione” nella Chiesa nascente

Nella Gerusalemme degli inizi, tra persecuzioni, preghiere e condivisione radicale dei beni, emerge una figura destinata a imprimere un segno profondo nella storia del cristianesimo: Giuseppe, detto Barnaba. Il suo nome – che gli Atti degli Apostoli traducono come “figlio della consolazione” (At 4,36-37) – è tuttora oggetto di discussione esegetica. Ma più delle etimologie incerte, colpisce il suo gesto: vendere un campo e deporne il ricavato ai piedi degli apostoli. Un simbolo potente di koinonia, quella comunione fraterna che diventerà il marchio distintivo della Chiesa delle origini.

Barnaba non fu solo un generoso mecenate. La sua autorevolezza crebbe al punto da diventare mediatore tra Saulo, il persecutore convertito, e gli apostoli ancora diffidenti (At 9,27). Sarà lui ad affiancare Paolo nella formazione della comunità di Antiochia e a guidare il primo viaggio missionario verso i gentili. Uomo “pieno di Spirito Santo e di fede” (At 11,24), Barnaba incarnava la capacità di tenere insieme mondi diversi: il rigore giudaico e l’apertura ai pagani.

La scomparsa di Barnaba

Eppure, proprio quando il Vangelo si spinge verso l’ecumene, Barnaba sparisce dal racconto lucano. Dopo lo scontro con Paolo riguardo a Giovanni Marco, suo cugino (At 15,39), i due si separano: Paolo prosegue verso l’Asia Minore, Barnaba torna a Cipro. Da qui in poi, il suo nome si eclissa.

Perché? Alcuni studiosi parlano di una strategia narrativa lucana che privilegia la figura di Paolo e marginalizza quella di Barnaba, testimone di una Chiesa più equilibrata tra tradizione giudaica e missione universale. Altri ipotizzano che la figura di Barnaba rappresentasse una via di mezzo ormai superata nella tensione crescente tra l’ebraismo cristiano e il nuovo cristianesimo paolino. È significativo che anche Pietro, altra figura ponte tra Gerusalemme e Antiochia, svanisca dal testo nello stesso periodo.

L’Apostolo di Cipro

Secondo la tradizione, Barnaba morì martire a Salamina, lapidato attorno all’anno 63. Ma fu il V secolo a trasformarlo nel patrono apostolico dell’isola, quando, in piena disputa con Antiochia, il ritrovamento “provvidenziale” del suo corpo con il Vangelo di Matteo sul petto consentì al vescovo Antemio di rivendicare l’autocefalia della Chiesa cipriota.

Due testi apocrifi alimentano questo culto: gli Atti di Barnaba e la Laudatio Barnabae. I primi, redatti in nome di Giovanni Marco, raccontano un viaggio apostolico nell’isola, spesso più interessato a mappare i villaggi ciprioti che a costruire una vera teologia. Barnaba vi appare come un personaggio quasi piatto, mero tramite dell’autorità. La Laudatio, attribuita al monaco Alessandro, accentua il carattere liturgico e taumaturgico del santo, ma il suo intento è chiaramente politico: rafforzare l’indipendenza della Chiesa di Cipro attraverso la santità del suo fondatore.

Barnaba negli scritti apocrifi 

Ma la memoria di Barnaba sopravvive anche altrove. Nella Lettera di Barnaba, un testo dell’inizio del II secolo. Qui l’apostolo diventa il rappresentante di una terza via tra giudeo-cristianesimo rigido e universalismo radicale. In polemica contro un’interpretazione “carnale” della Legge mosaica, la Lettera propone una lettura allegorica e spirituale delle Scritture, difendendo una fede cristiana libera dai vincoli giudaici.

Anche nella letteratura pseudo-clementina, Barnaba appare come primo evangelizzatore di Roma, mentore di Clemente, ponte tra il mondo ebraico e il cristianesimo nascente. In queste narrazioni, spesso ostili a Paolo, Barnaba si carica di ruoli e virtù altrimenti attribuite all’apostolo delle genti: resilienza, capacità dialettica, apertura ai pagani. È il volto di un cristianesimo inclusivo ma radicato, spirituale ma concreto.

Barnaba approda a Milano

A partire dal VII secolo, una nuova tradizione assegna a Barnaba anche la fondazione della Chiesa di Milano. Il De situ civitatis Mediolani, cronaca anonima dell’XI secolo, racconta che lui predicò nella città e consacrò il primo vescovo, Anatolio. Ma questa tradizione non ha radici apostoliche antiche: né Ambrogio né i sacramentari milanesi menzionano il suo nome. Solo a partire dal XIII secolo la sua figura inizia ad apparire stabilmente nei cataloghi episcopali e nelle liturgie locali.

L’intento era chiaro: dotare Milano di un’origine apostolica autonoma, capace di rivaleggiare con Roma e Antiochia. E Barnaba, già figura di raccordo tra Gerusalemme e l’ecumene, divenne l’apostolo fondatore, garante della legittimità ambrosiana.

Un apostolo discreto per tempi complessi

Barnaba, mai incluso tra i Dodici, ricevette il titolo di apostolo per il suo ruolo decisivo nella formazione della Chiesa. La sua figura, al tempo stesso concreta e sfuggente, generosa e mediatrice, offre ancora oggi una lezione attuale: l’arte del dialogo, la forza del disinteresse, la vocazione al ponte più che al protagonismo.

Nel suo nome, “figlio della consolazione”, si legge un’intera ecclesiologia: quella di una Chiesa che consola perché unisce, che evangelizza perché si spoglia, che si rinnova non dimenticando le sue radici.

Barnaba, l’apostolo dimenticato, continua così a parlare. Forse proprio perché non grida.

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