Venerdì fra l’Ottava di Pasqua
La ‘pesca miracolosa’ presenta la terza apparizione del Risorto ai discepoli-pescatori, riuniti presso le sponde del lago di Tiberiade. L’incontro di Gesù con i suoi impegnati nel loro lavoro, descrive in forma simbolica la missione della Chiesa primitiva e il ritratto di ogni comunità, che rimane sterile quando è priva di Cristo, ma diventa feconda quando obbedisce alla sua Parola e vive la sua presenza.
Il fallimento è totale e di fronte alla consapevolezza di non riuscire da soli nell’impresa, Gesù interviene all’alba con il dono della sua Parola, premiando la comunità che ha perseverato unita nella fatica apostolica: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. L’obbedienza alla Parola produce il risultato di una pesca abbondante. Gesù poi li invita al banchetto che lui stesso ha preparato: «Venite a mangiare».
Cristo avrebbe potuto scegliere i suoi primi discepoli in qualsiasi altro ambiente. Ma scelse dei pescatori e compì per loro il miracolo della pesca. Essi potevano comprenderne bene tutto il significato straordinario. Nella vita della Chiesa si contano più successi o insuccessi? Non c’è una risposta: successi e insuccessi si verificano sempre insieme. Il grande successo di Cristo avvenne attraverso il grande insuccesso della croce. Quel mistero continuamente si ripete nella vita della Chiesa e nella sua attività.
Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 2, 24, 6
Dobbiamo notare che il Signore partecipò all’ultimo convito, secondo quanto si legge, con sette discepoli: cioè, Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due suoi discepoli. Perché prende parte all’ultimo convito con sette discepoli, se non per indicare che al banchetto eterno sarebbero stati con Lui soltanto coloro che sono pienamente pervasi dai sette doni dello Spirito santo? Nei sette giorni si vede accolto – in simbolo — il fluire di tutto il tempo della condizione presente, e spesso con il numero sette si indica la perfezione. Parteciperanno dunque all’eterno convito alla presenza della Verità, quanti ora si pongono al di sopra delle realtà terrene anelando alla perfezione, che non si fanno catturare dall’amore a questo mondo che, pur importunandoli in ogni modo con assalti di tentazione, non riesce a ottundere i buoni desideri nati in loro. Di questo ultimo convito si dice in un altro testo di Giovanni:
“Beati quelli che sono chiamati alla cena di nozze dell’Agnello”. Si parla, qui, non di invitati a pranzo, ma a cena, perché il convito alla fine della giornata è appunto la cena. Chi dunque – concluso il tempo della vita presente — giunge a potersi nutrire della contemplazione eterna, è invitato non al pranzo, ma alla cena dell’Agnello, adombrata nell’ultimo convito a cui furono presenti i sette discepoli e che ristorerà, come abbiamo detto, con intimo nutrimento coloro che già raggiunti in pienezza dai sette doni ardono nell’amore dello Spirito. Attuate nel vostro intimo, fratelli, queste realtà e desiderate di essere ripieni della presenza di questo Spirito. Considerate, in base al presente, che cosa potrà accadervi in futuro. Interrogatevi se siete nella pienezza di questa realtà divina e rendetevi conto se vi sarà possibile partecipare a quel banchetto. Chiunque ora non è ravvivato da questo Spirito, sarà certamente escluso dal ristoro dell’eterno convito. Richiamate alla mente ciò che Paolo scrive del medesimo Spirito: “Se uno non possiede lo Spirito di Cristo, non gli appartiene”. Questo Spirito d’amore è dunque un segno della nostra appartenenza a Dio. Ha forse lo Spirito di Cristo chi ha la mente sconvolta dall’odio, è gonfio d’orgoglio, esasperato dall’ira e dalla discordia, torturato dall’avarizia, rammollito dalla lussuria? Rendetevi conto chi è lo Spirito di Cristo. È da esso infatti che si ha forza per amare amici e nemici, disprezzare le realtà della terra, anelare a quelle del cielo, reprimere i vizi della carne, frenare la mente di fronte alle bramosie. Se dunque volete rendervi conto del diritto di appartenere a Dio, pensate alla persona di Colui che possiede voi. Noi però siamo vacillanti di fronte a queste realtà di cui si è detto e non abbiamo ancora raggiunto il vertice della perfezione: poniamo dunque ogni giorno il tracciato dei santi desideri sulla via di Dio. Ci consola la Verità con le parole del salmista: “I tuoi occhi hanno visto la mia imperfezione, e tutti saranno scritti nel tuo libro”. La nostra imperfezione non sarà per noi solo fonte di danno, se compiendo il cammino verso Dio non volgiamo lo sguardo a ciò che è accaduto, ma ci affrettiamo a raggiungere ciò che deve venire. Infatti, chi si degna di rendere ardenti i desideri degli imperfetti, li fortifica talora guidandoli alla perfezione.