Gianni Vattimo
Esistono i vampiri? No, è una leggenda. Nel 1400 però il Conte Dracula è realmente esistito in Transilvania, romania, e tutte le storie di vampirismo si sono ispirate a lui. Dov’è allora la verità in questa storia? Gianni Vattimo (Torino 1936 – Rivoli 2023), filosofo e politico italiano contemporaneo scomparso da poco, elabora, per il nostro tempo, la teoria del “pensiero debole”, che ricorda un approccio al senso delle cose simil relativista, dove la verità non è assoluta e oggettiva ma si modella in base al confronto con gli altri ed ha in qualche modo a che fare con l’interpretazione variabile e soggettiva data da ogni uomo alla storia. La teoria del pensiero debole rappresenta un concetto fondamentale proposto da Gianni Vattimo; teoria che si è evoluta nel contesto del postmodernismo e ha avuto un impatto significativo sulla filosofia contemporanea. Anzitutto il “pensiero debole” si costituisce come critica alla metafisica e alla verità assoluta. Vattimo infatti critica l’idea di una verità oggettiva e impersonale, sostenendo che la filosofia tradizionale, influenzata dalla metafisica, ha cercato di stabilire verità universalmente valide senza mai riuscirci a lungo. Egli ritiene che questa prospettiva sia ormai superata e propone un approccio più “debole” e “relativista” che riconosce la pluralità delle prospettive e delle interpretazioni. Inoltre il “pensiero debole” rappresenta il rifiuto del “fondazionalismo”, ovverosia quell’ approccio filosofico che cerca fondamenti ultimi e stabili dietro ogni cosa e dietro ogni sapienza, in contrapposizione al “pensiero debole” di Vattimo che abbraccia la nozione di “pensiero senza fondamenti”. Egli suggerisce che il sapere è sempre condizionato dalla nostra situazione storica, culturale e linguistica, e che non esiste un punto di partenza neutro o assoluto.
Un’altra caratteristica della teoria del “pensiero debole” ha a che fare con l’ermeneutica e l’ interpretazione. Vattimo si concentra sull’importanza dell’ermeneutica e dell’interpretazione nel processo di conoscenza, sostenendo che ogni atto di interpretazione è influenzato dalle nostre precomprensioni, dalle nostre prospettive e dalle nostre esperienze, e che non esiste un’interpretazione finale o definitiva, permettendo con ciò un maggiore dialogo e un’apertura sociale all’incontro. Un elemento centrale del “pensiero debole” di Vattimo è l’idea della “socievolezza” o “conversazione”. Vattimo suggerisce che il pluralismo e la diversità delle prospettive possono essere affrontati attraverso il dialogo e la comunicazione tra individui e le diverse culture. Il dialogo aperto e inclusivo diventa quindi un modo per gestire la complessità del mondo contemporaneo. Tutto questo deve tradursi necessariamente per Vattimo in impegno etico e politico. Il filosofo infatti vuole estendere le implicazioni del pensiero debole alla sfera politica ed etica, partendo dal presupposto che la politica dovrebbe essere basata sulla tolleranza, sul rispetto delle differenze e sull’apertura al cambiamento. Da un punto di vista etico d’altro canto Vattimo promuove un’etica della fragilità e della responsabilità reciproca, che riconosce la vulnerabilità e l’interdipendenza degli esseri umani. In sintesi diciamo che il “pensiero debole” è un approccio filosofico che rifiuta la pretesa di verità assolute e fondamenti ultimi, abbracciando invece la pluralità delle prospettive, l’interpretazione ermeneutica e il dialogo aperto come strumenti per affrontare la complessità del mondo contemporaneo.
Per il contesto storico in cui opera e si esprime meglio, il secondo Novecento, mi piace collocare Vattimo tra gli esistenzialisti “eretici”. Come l’esistenzialismo classico novecentesco condivide la critica nei confronti della metafisica tradizionale. Sia gli esistenzialisti che Vattimo rifiutano la visione di una realtà oggettiva e immutabile, spesso associata alla tradizione metafisica. Inoltre è interessato alla prospettiva della liberazione dell’essere umano, tema caro, quello della libertà, a molti esistenzialisti quali Sartre, Camus, e fin dalle origini dell’esistenzialismo, tema caro a Kierkegaard. Tuttavia, la sua visione è influenzata dalla prospettiva postmoderna, che vede nella liberazione un processo che coinvolge la comprensione delle molteplici prospettive e interpretazioni.
Per questo anche i termini chiave dell’esistenzialismo, quali angoscia e libertà, possono essere rintracciati anche nel suo pensiero con interpretazioni specifiche. Ad esempio rispetto all’ “angoscia” Vattimo sostiene che essa sia da associare alla consapevolezza della nostra libertà e della mancanza di fondamenti ultimi nel mondo contemporaneo.
Pur abbracciando alcune tematiche esistenzialiste, Vattimo si distingue per la sua visione più ottimista e meno nichilistica. Il suo “pensiero debole” è orientato verso la tolleranza, la pluralità e il rifiuto delle affermazioni di verità universali, aspetti che possono divergere dall’angolo più radicale e pessimista di alcuni esistenzialisti.
La sua prospettiva riflette un’impostazione più aperta, orientata all’interpretazione e alla comprensione delle sfumature del mondo contemporaneo, per quanto tale apertura rischia di far naufragare tutto nell’accusa di relativismo, ovvero della credenza per cui non esiste più una verità oggettiva, assoluta, ma una verità soggettiva, relativa, parziale. Il pensiero Occidentale si è relazionato con il concetto di verità in quattro macro-momenti storici e culturali diversi nel corso della sua storia e della storia del pensiero. Ad esempio per la FILOSOFIA ANTICA, agli albori (Presocratici, Epicuro, la Classica, Platone e Aristotele), troviamo una fiducia naturale nella Verità, in Dio, nell’origine. Una fiducia conoscitiva, epistemologica. Non si mette in dubbio il divino ma si parte dal suo riconoscimento. Il divino, la verità, rappresentano addirittura la “scienza prima”, la “metafisica”. Da questa visione dell’origine della vita e del mondo si traggono le conseguenze per capire la condizione umana (antropologia), come operare (Etica), e poi come agire in società per il bene comune (politica), quali canoni di bellezza apprezzare (estetica),etc…
Durante la FILOSOFIA MEDIEVALE (dalla fine dell’Impero Romano fino al 1400) abbiamo lo stesso un’ analoga fiducia nella verità. Ma, affinando gli strumenti della ragione dialettica, e in seguito all’avvento e all’istituzionalizzazione del Cristianesimo, la Verità viene ad identificarsi con il Dio giudaico-cristiano e con le sue parole nei testi sacri. Il Dio delle Scritture, giustificato onto-teologicamente anche con le categorie della Filosofia Classica, diviene la personificazione della Verità e del criterio di azione. Successivamente, con la stagione della FILOSOFIA MODERNA, abbiamo la prima crisi, la prima rottura rispetto al modo di intendere la verità. Nella stagione Moderna che si fa iniziare convenzionalmente durante la Rivoluzione Scientifica e insieme al Discorso sul Metodo di Renato Cartesio, si vive un crollo culturale. Non si crede più alla verità, tanto meno alle verità medievali o del mondo arcaico. I Moderni sviluppano un senso critico e di fallibilità della conoscenza; Bacone ad esempio affronta in una sua opera tutti gli errori , chiamati da lui idola, in cui incappiamo quando ci approcciamo al mondo della conoscenza. Non si parte più dalla Verità ma dal soggetto della conoscenza. Ego cogito, ergo sum. Partire da se stessi e non dal presupposto fondamentale della verità, che diventa semmai un risultato. Tra io che cerco la verità e la realtà della verità esiste un collegamento chiamato METODO, il metodo della conoscenza. I Moderni sono costruttori di metodo, sono cioè appassionati, non tanto alla in sé e per sé, quanto più al certificato di garanzia della Verità. Quello che la Ragione scopre come indubitabile e incontrovertibile, cioè Io che penso, è la pietra angolare da cui partire per iniziare la scalata alla Verità. Da questo impasse si uscirà con la stagione contemporanea, da metà ottocento fino ad oggi. La FILOSOFIA CONTEMPORANEA, accusata spesso di relativismo e scetticismo, dove sembra che non ci siano più certezze solide, filosofie sistematiche, verità assolute, in realtà si presenta come l’interlocutrice più attenta al rapporto tra uomo e verità. Le filosofie del ‘900 sembrano frammentarie e relativiste, che cioè credono più a prospettive, significati, interpretazioni diverse, che a verità fondanti. Tra queste l’esistenzialismo, la fenomenologia, l’ermeneutica e la psicanalisi. Ma le correnti scettiche e relativiste rappresentano semmai una piccolissima parte di tutta la stagione contemporanea, perché la grande novità del pensiero contemporaneo è la relazione recuperata tra soggetto e verità, tra uomo e senso. Si pensano insieme la metafisica e l’ antropologia, nel senso che si riscontra una profonda reciprocità tra questi due versanti.La relazione tra uomo e verità non è sbilanciata verso uno dei poli, ma deve saper tenere insieme, saper reggere la tensione, che tra i due poli intercorre. Anche in questa chiave il “pensiero debole” di Vattimo può essere inteso; un pensiero umano debole si fa malleabile rispetto ad una verità che lo interpella, e una verità debole, che non lo sovrasta, è una verità capace di chiedere aiuto all’uomo per farsi comprendere.
©https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Vattimo#/media/File:Gianni_Vattimo_-_Participante_del_Foro_Internacional_por_la_Emancipaci%C3%B3n_y_la_Igualdad_(16106465993).jpg