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Cardinal Sako, il grido dell’Oriente e l’eredità di Papa Francesco 

da | 6 Mag 2025 | Vita ecclesiale

Di fronte alle sfide del mondo, tra guerre, esodi e crisi spirituali, il patriarca dei caldei racconta il cuore dell’Oriente cristiano, l’influsso indelebile di Papa Francesco e le speranze per il prossimo Pontefice.

ROMA – È un testimone della croce e della speranza il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca della Chiesa caldea d’Iraq, intervistato da KTO TV alla vigilia del conclave. È uno dei cardinali elettori provenienti dalle Chiese orientali cattoliche che entreranno in conclave, assieme al Card. Baselios Cleemis (India) – Rito siro-malankarese; Card. George Jacob Koovakad (India) – Rito siro-malabarese; Card. Mykola Bychok (Australia/Ucraina) – Rito greco-cattolico ucraino; Card. Berhaneyesus Demerew Souraphiel (Etiopia) – Rito etiopico.

La voce di Sako, ferma e piena di passione, viene da una terra segnata dalla violenza ma ancora radicata nella fede. L’Iraq, come altre nazioni del Medio Oriente, ha visto scomparire in pochi anni oltre due terzi dei cristiani, passando da un milione a meno di 400.000 fedeli. Ma il patriarca non si rassegna: “Noi abbiamo una vocazione: la tolleranza, l’educazione, la fedeltà. Se i cristiani scompaiono dal Medio Oriente, il cristianesimo perde le sue radici.”

L’eredità viva di Papa Francesco

In questa cornice drammatica, l’eredità di Papa Francesco risplende come luce nel buio. Il cardinale Sako lo ricorda con commozione e gratitudine: “Ci ha ascoltati. Ha imparato a dialogare con il mondo musulmano non con parole accademiche, ma con amicizia e umanità.” La semplicità del Papa argentino, la sua spontaneità, la forza del suo messaggio di fraternità hanno lasciato un segno profondo anche nelle terre più lacerate. “Ha cambiato le mentalità. Oggi tra i musulmani si parla diversamente dei cristiani. Il suo sorriso, la sua credibilità, la sua umiltà sono state la sua forza.”

Sako racconta un episodio simbolico: una donna musulmana irachena, davanti alla statua della Vergine, pregava per la visita del Papa. “Mi ha detto: è il nostro ultimo speranza.” Quell’immagine di fede semplice e sincera è per il patriarca un segno profetico dell’universalità della missione di Francesco, che ha saputo combinare diplomazia e profezia.

Il volto del prossimo Papa

Il patriarca iracheno non si nasconde dietro le formule. Sa bene cosa chiede alla Chiesa e al prossimo Pontefice. “Un Papa coraggioso, che parli con franchezza, che non abbia paura di dire la verità alle potenze del mondo. Non si risolvono i problemi con la guerra, ma con il dialogo.”

Ma chiede anche un Papa che sappia ascoltare, costruire una squadra, valorizzare le Chiese locali. “Francesco ha fatto molto, ma ha anche governato in solitudine. Il nuovo Papa deve saper collaborare, comprendere le diversità, parlare ai giovani con un linguaggio semplice e digitale, comprensibile e vitale.”

Rifiuta con decisione ogni nazionalismo ecclesiale: “Il Papa non deve venire da un paese specifico. È il vescovo di Roma, ma è per tutta la Chiesa. Perché non un africano? Perché non un asiatico? Ciò che conta è la competenza, la visione, la capacità di unire.”

Cristiani d’Oriente: la frontiera della speranza

Il grido del patriarca è un appello a non dimenticare i cristiani d’Oriente, non solo come vittime, ma come portatori di una vocazione. “Non abbiamo bisogno di soldi, ma di vicinanza, di solidarietà morale e spirituale. Siamo una minoranza, ma siamo cittadini a pieno titolo. La nostra presenza è una testimonianza per tutti.”

Parla della corruzione, dell’insicurezza, della fuga dei giovani. “Molti tornano nei villaggi, ma poi se ne vanno di nuovo, perché non trovano stabilità, servizi, protezione. Lo Stato deve essere forte, fondato sul diritto, non sulla religione.” Il modello? Un laicismo sano, dove la religione non diventi strumento di potere, ma fermento di giustizia.

L’Occidente e la cristianità smarrita

Sako non risparmia un’osservazione anche per l’Occidente. “I cristiani occidentali ci hanno aiutato durante l’esodo, ma oggi abbiamo bisogno di altro: sostegno politico, difesa dei diritti umani, coscienza comune. In Occidente la fede sembra diventata estranea alla vita.” Il patriarca invita le Chiese europee a riscoprire il legame con le Chiese apostoliche d’Oriente, a vivere la fede come relazione viva, non come struttura formale.

Verso il futuro: la Chiesa in cammino

Alla vigilia del conclave, mentre l’atmosfera tra i cardinali è definita “serena e fraterna”, il patriarca si dice fiducioso. “Il futuro Papa dovrà avere un cuore aperto, una mente digitale e una spiritualità incarnata. Nessuno è perfetto, ma insieme possiamo portare avanti l’unità della Chiesa.”

Parole chiare, parole forti. Che rivelano un Oriente cristiano vivo, sofferente, ma non vinto. E che ci ricordano che la Chiesa, per essere davvero universale, deve ascoltare le sue periferie. Perché forse, ancora una volta, da Oriente verrà la luce.

 

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