Il Pontificio Istituto Orientale ha ospitato Lunedì 31 marzo un panel accademico dedicato alla teologia cattolica orientale, in occasione della recente pubblicazione del volume Eastern Catholic Theology in Action (Catholic University of America Press, 2024). Il Concilio Vaticano II invitava i cattolici orientali a valorizzare il proprio patrimonio teologico per il bene di tutta la Chiesa. Tuttavia, a oltre 50 anni di distanza, le Chiese cattoliche orientali restano spesso ai margini del dibattito teologico e della vita ecclesiale. Questo libro, primo della nuova collana Eastern Catholic Studies and Texts, nasce per colmare questa lacuna, offrendo una riflessione accademica da parte di studiosi internazionali sulle loro tradizioni in ambito liturgico, teologico, spirituale, disciplinare e culturale delle Chiese cattoliche orientali. Al convegno sono intervenuti: P. Andrew Summerson e P. Alexander Laschuk (Sheptytsky Institute), D. Basilio Petrà (Accademia Alfonsiana) e P. Daniel Galadza (Pontificio Istituto Orientale). A rispondere alle loro riflessioni, Thomas Cattoi (Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino) e l’Arcivescovo Michel Jalakh (Dicastero per le Chiese Orientali). A moderare la discussione Laura Ieraci (Catholic Near East Welfare Association).
P. Andrew Summerson ha evidenziato le storiche difficoltà affrontate dagli studiosi, a causa della mancanza di risorse e di supporto istituzionale nelle Chiese cattoliche orientali e un tema centrale, che è il rapporto tra storia e teologia. Nel question time ha poi sottolineato il ruolo missionario delle Chiese cattoliche orientali in Nord America, evidenziando come esse offrano qualcosa che molte persone cercano e non trovano altrove: nonostante le sfide dovute alle piccole dimensioni delle parrocchie e alla mancanza di risorse rispetto alla Chiesa latina, vi è un entusiasmo crescente, in particolare tra i giovani adulti nelle grandi città come New York, Los Angeles e Chicago. Questi cercano un’autentica esperienza liturgica e una comunità intergenerazionale, elementi che spesso mancano nelle loro vite. Tuttavia, come ha sottolineato l’intervento di P. Alexander Laschuk, esiste anche la preoccupazione per l’assimilazione e il possibile declino delle comunità orientali. Se negli USA i primi vescovi orientali operavano sotto la giurisdizione latina, in Canada si sviluppò presto una struttura autonoma, accelerata dalla crisi di fedeli che aderivano a missioni ortodosse per mancanza di clero proprio. Oggi la situazione è complessa: pur avendo ottenuto strutture consolidate con diverse giurisdizioni, le chiese orientali affrontano difficoltà economiche e pastorali. Una delle sfide pastorali è garantire il supporto ai fedeli orientali che si trovano in aree senza una Chiesa cattolica orientale, evitando che si sentano esclusi o considerati “strani”. P. Laschuk ha evidenziato il ruolo fondamentale del sostegno della Chiesa latina, ma la questione centrale è evitare il declino che ha segnato il secolo scorso, per garantire un futuro alle comunità orientali nella diaspora.
L’intervento di D. Basilio Petrà si è concentrato sulla riflessione nata dall’assenza dei preti uxorati (sposati) della Chiesa cattolica orientale negli ultimi due sinodi sulla famiglia (“c’era solo un prete orientale, ma celibe”). Ha sottolineato come, nonostante la Chiesa Cattolica sia “universale”, la prospettiva latina continui a dominare la teologia e la pastorale, escludendo quasi del tutto la considerazione del presbiterato sposato orientale. Questo fenomeno è evidente anche nei documenti ufficiali, come la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis del 2016 e il Sinodo dei Giovani del 2018, che non riconoscono adeguatamente la vocazione sacerdotale sposata, trattandola come un’eccezione piuttosto che come una realtà teologicamente significativa. Tuttavia, Petrà ha notato segnali di cambiamento positivi negli ultimi anni. In particolare, nei recenti sinodi e documenti del 2023 e 2024, si è iniziato a dare maggiore rilevanza alla presenza delle Chiese orientali nella comunione cattolica. Tra i passi avanti più importanti vi sono la creazione di una commissione congiunta di teologi, storici e canonisti orientali e latini per approfondire le questioni irrisolte, e la maggiore rappresentanza orientale nei Dicasteri della Curia romana. Inoltre, il riconoscimento ufficiale del ruolo dei preti sposati orientali come membri a pieno titolo del presbiterio diocesano segna un ulteriore progresso verso una visione più autenticamente cattolica. Infine, Petrà ha rimarcato che questi cambiamenti impongono una revisione della pastorale vocazionale, affinché si riconosca pienamente la diversità delle forme di ministero sacerdotale all’interno della Chiesa cattolica. Se questa evoluzione continuerà, si potrà arrivare a un vero equilibrio tra la tradizione latina e quella orientale, superando l’idea che il celibato sacerdotale sia l’unica norma valida.
Se l’intervento di Daniel Galadza ha descritto i contributi contenuti nel libro Eastern Catholic Theology, Thomas Cattoi ha riflettuto sul contributo che la teologia cattolica orientale può offrire alla Chiesa universale, quali integrazione metafisica, nel senso che la teologia orientale cattolica offrire una prospettiva più radicata nella tradizione teologica antica e il carattere esperienziale della dottrina, in quanto la teologia orientale sottolinea l’esperienza spirituale come fondamento della dottrina cristiana, essendo la teologia sempre legata alla pratica e alla vita di fede.
L’arcivescovo Michael Jalak, Segretario del Dicastero per le Chiese Orientali, ha evidenziato come il volume presentato arrivi in un momento particolarmente opportuno, l’inizio della “pienezza del tempo” per le Chiese orientali cattoliche. A suo avviso, solo recentemente si è compreso che gli orientali cattolici non costituiscono un ostacolo all’unità della Chiesa, ma che vi sono molti altri fattori, spesso indipendenti dalla loro volontà. Per lungo tempo, queste Chiese sono state definite come una sorta di “mostro ecclesiologico”, definizione poi attenuata in “anomalia ecclesiologica”. Mons. Jalak ha elogiato l’intento dei curatori del volume, i quali hanno voluto creare un forum scientifico in cui studiosi delle diverse tradizioni orientali potessero incontrarsi, conoscersi e confrontarsi sul piano accademico. Egli si è detto certo che, al momento opportuno, anche gli ortodossi prenderanno parte a questo dialogo, esprimendo il loro punto di vista, soprattutto su temi comuni quali il primato e l’interazione con l’Occidente cristiano. Forum liberi come quello proposto dal volume potrebbero contribuire in modo più efficace alla causa ecumenica rispetto alle commissioni ufficiali, spesso vincolate da posizioni istituzionali.
Mons. Jalak ha poi sottolineato come la ricca diversità delle Chiese orientali cattoliche rappresenti sia una benedizione sia una sfida. Queste Chiese sfuggono a un’unica categorizzazione confessionale, il che rende difficile la loro comprensione da parte del mondo latino, più omogeneo. Egli ha testimoniato come, nella Curia romana, ogni questione riguardante l’Oriente venga automaticamente inoltrata al Dicastero per le Chiese Orientali, quasi a indicare una generale difficoltà nel comprendere tale labirintica realtà ecclesiale. L’arcivescovo ha inoltre criticato alcuni cliché, come quello secondo cui gli orientali cattolici fungerebbero da “ponte” tra Oriente e Occidente. Secondo lui, questa formula, utile agli inizi del percorso ecumenico, rischia oggi di risultare priva di significato. Le Chiese orientali non devono essere considerate strumenti di mediazione, ma partecipanti a pieno titolo alla vita e alla teologia della Chiesa universale cattolica. Un altro punto affrontato è stato quello della “modernizzazione” delle Chiese orientali, mentre è preferibile parlare di “progresso organico”, un’espressione più adatta a descrivere uno sviluppo che avviene nella continuità. Ha sottolineato il diritto degli orientali cattolici di sviluppare un proprio pensiero teologico, pur raccomandando di evitare tensioni inutili con gli ortodossi che potrebbero compromettere il dialogo ecumenico.
Tra i temi centrali del volume, egli ha evidenziato il tributo di sangue versato dai martiri orientali cattolici per l’unità della Chiesa. Pur riconoscendo l’importanza dell’argomento, ha ammonito contro il rischio di strumentalizzare la santità o di insistere eccessivamente su questo aspetto, irrigidendo le posizioni. Ha suggerito di rileggere la vita e il pensiero di questi martiri attraverso un’ermeneutica storica, magari in collaborazione con gli ortodossi. A titolo di esempio, l’arcivescovo ha citato la recente pubblicazione di un decreto di canonizzazione riguardante un arcivescovo armeno martire, Ignazio Choukrallah Maloyan, Arcivescovo armeno cattolico di Mardin. Egli ha evidenziato come il martirio di questa figura sia stato determinato anche da un intervento da parte ortodossa, dimostrando la complessità della questione. Questo, secondo lui, rende ancora più necessaria un’analisi condivisa con gli ortodossi, basata su un rigoroso approccio storico.
L’arcivescovo ha poi parlato dell’unità, sostenendo che le Chiese orientali cattoliche abbiano una naturale predisposizione a essa. La loro stessa esistenza rappresenta una tensione vivente verso l’unità, conciliando la fedeltà a Roma con un’adesione senza compromessi al patrimonio spirituale dell’Oriente. Per lungo tempo, gli ortodossi hanno visto con sospetto questa attitudine, interpretandola come un simbolo della prepotenza latina e un tradimento dell’Oriente. Tuttavia, egli ha invitato a considerare questa doppia tensione non come un problema, ma come un motivo di vanto ecclesiologico: essa dimostra che l’anomalia risiede nella divisione tra le Chiese, non nella loro esistenza. Jalak ha infine riconosciuto il notevole senso di discernimento maturato dagli orientali cattolici. Questi hanno sperimentato sulla propria pelle la tensione della comunione e possiedono un’esperienza preziosa per la Chiesa intera.
Concludendo, egli ha elogiato l’iniziativa, auspicando una teologia che tenga conto della realtà dell’Oriente cattolico, affinché i documenti del Magistero possano arricchirsi di una maggiore sensibilità nei confronti delle Chiese orientali. A questo proposito, ha citato l’esempio di un recente contributo del padre Daniel Galadza alla Commissione liturgica interdicasteriale, che ha sollevato una questione fondamentale sui sacramenti: cosa rende valido un sacramento per gli orientali cattolici, al di là della terminologia scolastica latina? È possibile esprimere la validità sacramentale senza adottare necessariamente il linguaggio latino? Questo, secondo Mons. Jalak, rappresenta una pista di riflessione estremamente importante.