L’emozione, il contenuto del vissuto emozionale nella psiche umana, può essere definita come uno stato affettivo o sentimentale intenso che porta con sé una commozione somatica o organica caratteristica. Per analizzare e descrivere le emozioni, quindi, bisognerebbe riuscire a capire come un individuo stia vivendo una determinata circostanza.
Risulta difficile fare un’analisi delle emozioni partendo dalla testimonianza verbale che potrebbe offrire un individuo che abbia appena vissuto un’emozione, visto che spesso non si riesce ad esprimere in maniera adeguata ciò che riguarda il proprio vissuto emozionale, quindi, per riuscire a portare avanti un’indagine del genere, che nonostante l’aspetto soggettivo del fenomeno è lecita per le scienze psicologiche, non rimangono che due possibilità.
Una è quella di “mettersi nei panni” dell’individuo da analizzare, cioè di immaginare, attraverso un processo di identificazione empatica, che cosa dovremmo provare noi emotivamente se ci trovassimo esattamente nella stessa condizione dell’altra persona; l’altra è quella di tentare di interpretare i segnali di emozione che questi lancia, visto che la commozione derivante da un vissuto emozionale si esprime sempre attraverso il corpo.
Si è detto che le emozioni sono come la componente soggettiva, la sensazione affettiva che accompagna la condotta di un individuo. Potremmo anche preferire allora, con scarse differenze di significato, in questo caso, il concetto di “sentimento” o di “affetto”.
Da sempre tutto ciò si contrappone all’idea di “razionalità”. In effetti nel passato e nella psicologia pre-scientifica l’emozione veniva considerata come un fattore di perturbazione della condotta dell’uomo. Dato che la razionalità veniva ritenuta un attributo caratteristico e nobilitante dell’uomo, l’emozione-perturbazione era vista alla stregua di un attributo (e tributo) concesso alla parte “animale” e ferina dell’uomo, un aspetto pertanto negativo e non degno di studio. L’interesse per le emozioni era solo descrittivo, se le si considera sintomi di un problema, poetico, per la loro qualità suggestiva, filosofico, per l’interesse relativo agli aspetti limitati dell’essere umano, o ancora, letterario.
Nell’antichità e sostanzialmente fino al XIX secolo, le emozioni erano quindi viste negativamente, come una parte “inferiore” dell’uomo. Negli antichi questo concetto di strappo dell’essenza razionale dell’uomo si era tramutato nell’idea che dietro la “pressione delle passioni” ci fosse un nume negativo che voleva prendere l’uomo (come le Furie, Pan, Dioniso, le Erinni, Eros, etc.) e che si impadroniva della sua anima razionale in modo incontrollato ed inspiegabile.
A partire da Darwin si propose, invece, un significato opposto e rivoluzionario delle emozioni. Queste rappresentano un meccanismo adattativo atto a favorire la sopravvivenza della specie: le emozioni condeterminano il comportamento (sia umano che animale) e la loro comunicazione (verbale e non verbale) produce effetti sia sul soggetto che sull’ambiente. Successivamente, con Freud, le emozioni sono state intese non più come contrapposte alla razionalità, ma come una componente inscindibile del funzionamento della mente, la parte in ombra di ogni nostro processo mentale.
Studiare le emozioni diviene, così, una chiave per aprire la porta chiusa della razionalità ed interpretare il senso più profondo della condotta di un individuo insieme al livello, articolazione e ricchezza delle sue funzioni cognitive, etiche e sociali perché, lungi dal costituire un residuo della conoscenza, un elemento impuro di cui il pensiero deve liberarsi per coincidere con la più pura e algida speculazione, le emozioni pervadono, anzi “sono” il pensiero. Protagonista di questa visione è indubbiamente Martha Nussbaum, che in numerose opere descrive le emozioni come costitutive del ragionamento etico e quindi parte fondamentale della filosofia morale.
Troppo spesso nella riflessione filosofica i corpi viventi sono stati dimenticati, confinati nell’impensato da una tradizione metafisica segnata dal dominio della ragione astratta e oggi, anche grazie al concetto di “intelligenza emotiva” dello psicologo Daniel Goleman, la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie, di educarsi in tal senso e di interagire in modo costruttivo con gli altri, vengono invece considerate addirittura competenze fondamentali e trasversali anche in campo professionale.