Martedì della II settimana di Pasqua
Ci troviamo di fronte a un testo degli Atti che è uno dei più frequentati da parte della tradizione spirituale della chiesa. In un quadro riassuntivo Luca presenta lo stile di vita nuovo della Chiesa, frutto dello Spirito: la condivisione dei beni, la vendita di quanto è stato messo in comune, la distribuzione del ricavato a ciascuno secondo i propri bisogni. A partire dal primo monachesimo di Basilio, Pacomio e Benedetto e poi in ogni momento di crisi e difficoltà della vita cristiana ci si è rifatti sempre a questo celebre sommario. Nel monastero la povertà è vissuta soprattutto in due dimensioni: la rinuncia al possesso e la messa in comunione dei beni, dove la prima è una delle esigenze della sequela di Cristo e la seconda è la caratteristica propria della comunità monastica, che imita l’ideale della dei primi cristiani di Gerusalemme. Del resto è un’idea di Benedetto, comune con Basilio, che l’abate tenga il posto degli apostoli nell’effettuare la distribuzione dei beni nella comunità; anche per Pacomio i propositi della casa devono dividere tra i fratelli quanto è stato ricevuto dal padre del monastero.
Ma in ogni contesto la novità cristiana si esprime attraverso la fraternità, una mentalità che cerca prima di tutto di creare i rapporti fraterni come segno della venuta del Regno di Dio. Tutto il contrario dell’attuale comoda mentalità individualistica, dalla quale i fratelli e le sorelle sono praticamente esclusi. Il fine di una comunità, che sia religiosa, parrocchiale o una famiglia, non può essere soltanto quello di offrire ai suoi membri un vago senso di benessere; il suo scopo è quello di far sì che tutti i membri possano spronarsi l’un l’altro, giorno per giorno, a percorrere insieme un cammino di fede nella fiducia, nella maturità e nella lealtà degli affetti, chiarendo i malintesi che si verificano, risolvendo i conflitti e soprattutto radicarsi sempre più in Dio. Perché in una comunità possiamo alla lunga vivere bene solo se puntiamo continuamente il nostro sguardo verso Dio, come nostra vera meta e come causa ultima della nostra vita.
Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe 28, 22
Il nostro Creatore e Signore dispone ogni cosa in modo tale che se uno volesse insuperbirsi per il dono che ha, si deve umiliare per le virtù che non ha. Egli dispone ogni cosa in modo tale che, quando eleva uno per una grazia che ha ricevuto, per una grazia diversa lo sottomette a un altro. Dio dispone ogni cosa in modo tale, che mentre tutte le cose sono di tutti, per una certa esigenza di carità, tutto diventa di ciascuno; e ciascuno possiede nell’altro ciò che non ha ricevuto, in modo tale che ciascuno umilmente offre in dono all’altro ciò che egli ha ricevuto. È quanto dice Pietro: «Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio».