Metamorfosi necessaria. Con questo titolo il Card. José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e tra le voci più originali del panorama cattolico contemporaneo, traccia un efficace ritratto di Paolo e del suo pensiero, con il rigore di un biblista e la creatività di un poeta. È un libro rivolto a vicini e lontani, a credenti e non, nella forma di una conversazione aperta e plurale. È un’opera che può essere letta in modi diversi: come un’introduzione alla vita e all’opera di Paolo, come un’avventura tra gli aspetti filosofici e culturali dei suoi scritti, ma soprattutto come una cartografia minima per esplorare l’universo teologico dell’apostolo e una guida per purificare il proprio concetto di cristianesimo.
Nato prima di Cristo, morto dopo Cristo e vissuto senza averlo conosciuto di persona, Paolo è stato uno degli uomini che più ha seminato idee nel mondo. Uomo dei paradossi, come disse Papa Francesco commentando la sua conversione: “proprio quando uno riconosce di essere cieco, comincia a vedere!”. Non si capirebbe fino in fondo la storia dell’Occidente, la sua visione culturale e politica, se si volesse prescindere dall’impatto della parola e del pensiero di Paolo di Tarso. Un Paolo che, al di là della cerchia confessionale, interessa tutti, ben più di quanto si ritiene comunemente, disseminato com’è dentro e fuori lo spazio confessionale cristiano. L’Apostolo delle genti fu il protagonista di una svolta radicale, di una vera e propria metamorfosi: nel I secolo arrivò a individuare le principali questioni nelle quali ancora oggi ci troviamo immersi. Ma cos’è questa metamorfosi di cui si parla nel libro?
Metamorfosi, come la morte e la risurrezione di Cristo, soglia e inizio di un nuovo modo di vivere e di pensare. Metamorfosi, come l’evento che ha rivoluzionato la vita di Paolo sulla via di Damasco. Metamorfosi, come grammatica del credere, perché noi non siamo naturalmente cristiani, ma lo diventiamo, e questo ci obbliga a rompere con il conformismo teologico di un cristianesimo autoreferenziale, come ripetuto Papa Francesco. Metamorfosi, come la vita della Chiesa, destinata ad una trasformazione mistica, secondo la sfida lanciata da Karl Rahner, quando diceva che il cristiano del futuro o sarà un mistico – cioè una persona che ha sperimentato qualcosa – o non sarà. È metamorfica tutta l’esistenza cristiana nella visione paolina, perché abitata dalla trasformazione portata da Cristo.
Paolo doveva essere un tipo indimenticabile. Lo conosciamo soltanto grazie alle sue lettere, che sono una sorta di romanzo di sé e agli Atti degli Apostoli, che ne inseriscono la vita e l’opera nel grande movimento della Parola da Gerusalemme ai confini della terra. Poche le pennellate del suo ritratto: dotato di forte personalità, doveva avere un temperamento molto emotivo, sentiva tutta l’immediatezza delle relazioni che intratteneva con i suoi interlocutori, insieme alla totale sottomissione a quel Cristo, che lo aveva conquistato.
L’Apostolo è il primo scrittore cristiano. E scrivendo, il cristianesimo si scrive. Ma lui non era nato con la vocazione dello scrittore: fu il capovolgimento della sua vita a farlo arrivare alla scrittura. Paolo – e pochi come lui – ha creduto veramente al potere della parola. Nei suoi scritti passa in rassegna quanto ha vissuto, il suo cuore si lascia catturare dai viaggi, bene o male che siano andati, dai volti amati, dagli avvenimenti felici o ostili, da quell’Oriente al quale aveva dedicato a tutti i tuoi sforzi missionari. Siria, Turchia, Grecia. E poi l’Italia con Roma, fino al desiderio di recarsi in Spagna, ai confini dell’impero e del mondo conosciuto. I viaggi di Paolo non sono solo esteriori. Il suo viaggio cominciò cadendo a terra a Damasco! È tutto l’uomo che viaggia, perché il viaggio introduce nella vita elementi sempre inediti, che operano quella che chiamiamo conversione. Ma forse, più che viaggiatore, Paolo è stato un pellegrino nel mondo romano di allora. Sbaglieremmo, se lo considerassimo come un one man show, un predicatore solitario; l’apostolo visse tutta la vita a un ritmo comunitario; aveva un team di collaboratori, si muoveva in un vero e proprio social network, fatto di uomini e di donne intraprendenti. Del resto furono le comunità cristiane a trasmettergli la formulazione degli elementi fondamentali della fede cristiana e ad accoglierlo nelle sue peregrinazioni. Emerge allora la figura di un Paolo che non fu solitario navigatore, ma sapiente tessitore di reti: poi era questo il suo mestiere, fabbricatore di tende. Uomini e donne, giovani e anziani, giudei e pagani, compatrioti e stranieri. Un gruppo ampio e diversificato di collaboratori e di viaggiatori, il più eterogeneo che si possa pensare. In circa quindici anni di attività febbrile riunisce nel medesimo corpo sociale tutte le differenze possibili dell’epoca. Le sue comunità sono già senza frontiere e semi della prossima metamorfosi del mondo.
Il rapporto di Paolo con Gesù ha fatto scorrere fiumi di inchiostro: da Apostolo per eccellenza con la “A” maiuscola a traditore del vero messaggio gesuano. Qualcuno ha persino ipotizzato che i due potrebbero essersi incrociati a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua o che Paolo avrebbe potuto seguire la condanna e l’esecuzione di Gesù. Comunque, i due profili non possono che essere i più diversi. Gesù veniva da un villaggio, Paolo da una città cosmopolita; Gesù faceva uso dell’aramaico, Paolo si serviva abilmente del greco; Gesù manteneva con i suoi un contatto orale, Paolo comunicava per iscritto; Gesù si esprimeva attraverso discorsi brevi e parabole, Paolo è arrivato a costruire un complesso sistema teologico. Ma il segreto di Paolo è Cristo. Il suo segreto è l’esperienza mistica di un Cristo che è vivo. Paolo si è fatto araldo di quella metamorfosi che aveva sperimentato: il modo in cui viveva la sua chiamata si esprimeva con un nuovo sistema di valori. Paolo abbatteva i muri. E non senza difficoltà: la sua è una scrittura che si costruisce per antinomie, con discorsi paradossali che portano il suo linguaggio al parossismo; per questo la sua è una delle operazioni teologiche più creative e complesse di sempre. Basti pensare alla proverbiale difficoltà della teologia paolina sulla santità della legge e sulla grammatica dell’amore. Nella sintesi definitiva del suo pensiero, la nozione di chiesa – senza smettere di essere la comunità dei cristiani – si stacca dalla sua realtà empirica e s’innalza a realtà celeste, come realtà che vive di quella koinonia, di quella relazione di comunione che Dio stesso ha donato al Cristo mediante lo Spirito. L’apostolo delle genti è il grande confessore e cantore della sovrabbondanza e della pienezza insuperabile della grazia di Cristo
Lottare con Paolo: questa è la sfida di oggi. Il Vangelo è per l’Apostolo un vivere in uno stato di continua ripartenza, in una gestazione tra il già e il non è ancora. Oggi assistiamo alla fine di un mondo, come anche alla fine di un certo cristianesimo. Eppure non è la fine del mondo, né la fine del cristianesimo. Forse è più una perdita di antiche certezze e anche un’occasione di reimparare il significato della creazione. “Dio non ha creato l’uomo”, conclude il cardinale, “lo crea e continuerà a crearlo”. “Non siamo semplicemente testimoni di un passato, ogni persona è chiamata a essere – e già lo è – un documento del futuro”. Ed è una chiamata, insieme a Paolo, di portare il proprio contributo alla metamorfosi del mondo.