Venerdì della terza settimana di Quaresima
Gesù dichiara che nessun comandamento è più grande di questi due: il comandamento dell’amore di Dio, la base di ogni adempimento, poiché solo chi ama l’unico Signore che li ha impartiti, adempirà i suoi comandamenti. Il secondo, quello dell’amore del prossimo, è la quintessenza di ogni norma, nella quale si realizza la legge.
Amare Dio «con tutto il cuore» significa amarlo, venerarlo e temerlo con l’intimo, con quello che è il centro della persona, aderire a lui totalmente. Il cuore sintetizza tutte le dimensioni dell’esistenza umana, le forze emozionali e quelle razionali.
Amare Dio «con tutta l’anima» significa amarlo con l’intera esistenza, con tutto il desiderio vitale; l’esistenza umana concreta sarà avvolta dalla sovranità da parte di Dio. Ci si riferisce forse in maniera particolare alla forza di volontà, finanche il martirio, il sacrificio della propria vita.
Amare Dio «con tutta la mente» sottolinea la «ragionevolezza» dell’amore di Dio, l’uso positivo (e perché no, anche critico) delle forze razionali del cuore.
Amare Dio «con tutta la forza» significa amarlo con tutte le capacità dell’esistenza umana. Al tempo di Gesù il concetto di «forza» comprendeva anche i mezzi a disposizione dell’uomo, ed anche ciò che egli possedeva.
Per indicare il secondo comandamento, subordinato ma allo stesso tempo posto in parallelo al primo, Gesù cita Lev.19,18. Il precetto di amare il prossimo è inteso come vuole Gesù se viene interpretato con la «regola aurea» citata nella sua versione positiva (Mt. 7,12). La misura dell’amore «come te stesso» significa che l’uomo conosce i suoi veri bisogni, pertanto può occuparsi con adeguata dedizione ai bisogni del prossimo, per conservargli e procurargli ciò che gli spetta, tener conto dei suoi diritti e della sua situazione, come facciamo con noi stessi. La misura dell’agire verso di lui è data dal modo con cui forgiamo a nostro favore la nostra esistenza, la proteggiamo e la difendiamo, ed in generale ce ne occupiamo. Il prossimo in in Marco non è definito, ma nella parabola del buon Samaritano (Lc 10,30-37), alla domanda chi sia il prossimo, si risponde col comandamento dell’amore verso di lui. Un comandamento che per Gesù comprende anche l’amore per i nemici e i peccatori: chi, imbattendosi in qualsiasi uomo bisognoso, s’accorge di lui e lo aiuta, ne diviene prossimo.
Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe 6, 19, 54
“E visitando la tua immagine non peccherai”. Immagine dell’uomo è un altro uomo. Giustamente si dice che il nostro prossimo è la nostra immagine, perché in lui vediamo quello che noi siamo. Per visitare corporalmente il prossimo muoviamo verso di lui i nostri passi, ma per visitarlo spiritualmente andiamo a lui col passo dell’affetto. Visita la propria immagine chi si dirige con i passi dell’amore verso colui che egli scorge simile a sé per natura; e così, considerando nell’altro la propria situazione, da se stesso impara come debba essere condiscendente verso l’altrui debolezza. Visita la propria immagine chi pensa se stesso nell’altro, per dare ristoro all’altro in sé. Così la Verità, descrivendo per mezzo di Mosè ciò che ha fatto, indica ciò che si deve fare dicendo: “La terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie”. L’albero produce il seme secondo la propria specie quando l’anima considera l’altro partendo da se stessa e produce il germe dell’opera retta. Così un sapiente dice: “Non fare a nessuno ciò che non piace a te”. Così nel vangelo il Signore dice: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche voi fatelo a loro”. In altri termini, più chiari: visitate la vostra immagine nell’altro e da voi stessi imparate che cosa bisogna fare agli altri […] Si vince totalmente il peccato quando, in base alla propria somiglianza, ciascuno valuta come deve dilatarsi nell’amore del prossimo.