Il 28 ottobre scorso veniva resa nota la Relazione di sintesi della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il giorno successivo i partecipanti al Sinodo facevano ritorno nelle proprie diocesi e luoghi di appartenenza, ma con la ferma volontà di portare alle loro comunità i propositi e i frutti dei lavori di questo intero mese di ottobre e con l’impegno di proseguire il confronto e il dialogo, fino all’ottobre 2024, quando questo cammino triennale vedrà la propria conclusione.
Dal Documento finale emerge subito la parola «armonia», atmosfera che ha caratterizzato queste settimane di lavoro sinodale in Vaticano. Armonia che nasceva dall’ascolto dello Spirito e degli altri partecipanti, e dal confronto in aula. Armonia nonostante in alcune parti del mondo fossero in atto gravi conflitti bellici e crescessero i livelli della violenza e delle ingiustizie tra i popoli e gli Stati. Tuttavia, nel segno della speranza, la comunità credente presente al Sinodo si definiva «comunione di Chiese»; nel vivo auspicio di adottare più capillarmente lo «stile della sinodalità», sulla scia di quello che papa Francesco sta indicando alla cristianità già dal 2015.
La Relazione di sintesi si inserisce pienamente nel solco del magistero conciliare, e in esso desidera camminare; per riscoprirne la centralità e le attese. La Chiesa si definisce – anche in questo contesto – come «Mistero e Popolo di Dio», e vuole proporre al mondo il modello della fraternità evangelica, quale àncora di salvezza per l’umanità intera.
Le pagine sono state suddivise in tre blocchi – naturalmente congiunti – che possiamo leggere come: “Il volto della Chiesa sinodale”, “Tutti discepoli, tutti missionari”, “Tessere legami, costruire fraternità”.
La prima parte della Relazione si apre nel segno della ritrovata consapevolezza sulla sinodalità: come emerge, cioè, dalla Tradizione della Chiesa, dalle sante Scritture e dai pronunciamenti magisteriali. Leggiamo, infatti: «Questo processo ha rinnovato la nostra esperienza e il nostro desiderio di una Chiesa che sia casa e famiglia di Dio. È proprio a questa esperienza e a questo desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale che sono stati associati i termini “sinodalità” e “sinodale”. Il popolo di Dio si riscopre al centro della storia redentiva, con vocazioni e missioni personali; e riceve questa certezza: «L’Assemblea ha frequentemente parlato di speranza, guarigione, riconciliazione e ripristino della fiducia tra i molti doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa durante questo processo sinodale. L’apertura all’ascolto e all’accompagnamento di tutti, compresi coloro che hanno subito abusi e ferite nella Chiesa, ha reso visibili molti che si sono sentiti a lungo invisibili. Abbiamo ancora da compiere un lungo cammino verso la riconciliazione e la giustizia, che richiede di affrontare le condizioni strutturali che hanno consentito tali abusi e compiere gesti concreti di penitenza». Il presente cammino ecclesiale può essere ben interpretato con queste espressioni: «La sinodalità può intendersi come camminare dei cristiani con Cristo e verso il Regno, insieme a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata». L’incipit delle riflessione e delle azioni ecclesiali rimane profondamente teologico: è la Trinità che guida la storia, dona la grazia, anima la carità; leggiamo, infatti: «Il rinnovamento della comunità cristiana è possibile solo riconoscendo il primato della grazia. Se manca la profondità spirituale, la sinodalità rimane un rinnovamento di facciata. Ciò a cui siamo chiamati, però, non è solo tradurre in processi comunitari un’esperienza spirituale maturata altrove, ma più profondamente sperimentare come le relazioni fraterne siano luogo e forma di un autentico incontro con Dio. In questo senso la prospettiva sinodale, mentre attinge al ricco patrimonio spirituale della Tradizione, contribuisce a rinnovarne le forme: una preghiera aperta alla partecipazione, un discernimento vissuto insieme, un’energia missionaria che nasce dalla condivisione e si irradia come servizio». Questa prima parte della Relazione sottolinea – inoltre – la centralità della fede cristiana, da accogliere e custodire per mezzo dei sacramenti; così come l’intramontabile opzione per i poveri, cuore del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo: «Gesù, povero e umile, ha fatto amicizia con i poveri, ha camminato con i poveri, ha condiviso la tavola con i poveri e ha denunciato le cause della povertà. Per la Chiesa l’opzione per i poveri e gli scartati è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica». La seconda parte della Relazione ci consegna una Chiesa che comprende di essere chiamata all’inclusività, essendo una grande comunità formata da persone di «ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9); gli auspici dell’Assemblea sono lungimiranti: «Occorre coltivare la sensibilità per la ricchezza della varietà delle espressioni dell’essere Chiesa. Questo richiede la ricerca di un equilibrio dinamico tra la dimensione della Chiesa nel suo insieme e il suo radicamento locale, tra il rispetto del vincolo dell’unità della Chiesa e il rischio dell’omogeneizzazione che soffoca la varietà. I significati e le priorità variano tra contesti diversi e questo richiede di identificare e promuovere forme di decentramento e istanze intermedie». La sfida permanente rimane quella di coltivare e custodire il cammino comune con le Chiese d’Oriente, come anche l’unità tra tutti i cristiani.
L’attuale Sinodo ci invita fortemente – tutti – a riscoprire la nostra vocazione e missione battesimale, che ci abilita a essere evangelizzatori e testimoni della Trinità nel mondo.
La riflessione assembleare – nella terza parte del Documento finale – si è soffermata, inoltre, su altre realtà care alla Chiesa: la donna: «In Cristo donne e uomini sono rivestititi della medesima dignità battesimale e ricevono in ugual misura la varietà dei doni dello Spirito»; la vita consacrata; le aggregazioni laicali; ha riguardato, anche, i presbiteri, il diaconato, il ruolo dei vescovi e quello del Vescovo di Roma.
Le pagine conclusive della Relazione hanno allargato gli orizzonti riflessivi nel segno della fraternità più universale, dei legami redenti, e del mondo digitale.
L’ascolto e l’accompagnamento sono le parole-chiave risuonate nei cuori; il lavoro quotidiano e la speranza animeranno ancora la Chiesa in questo anno; le attese dell’umanità si incontrano con il discernimento comunitario dello Spirito.
Accogliamo la brezza nuova della sinodalità e lasciamoci condurre sui sentieri della bellezza!