Sabato della II settimana di Pasqua
Nei precedenti brani degli Atti abbiamo visto che i problemi venivano dall’esterno, ora arrivano le crisi interne. Anche queste sono un’opportunità, servono per strutturarsi in modo più funzionale e capire meglio la vocazione specifica di ciascuno. Ma sempre per il servizio alla causa del Vangelo. Gamaliele aveva detto che le cose di Dio vanno avanti, nonostante le difficoltà esterne o interne. Nelle comunità che crescono, crescono – ed è inevitabile – anche le differenze: nella prima comunità si privilegia l’assistenza alle vedove locali e si trascurano le vedove degli “immigrati”, cioè degli ellenisti. Gli apostoli si occupano delle tre cose fondamentali per il cristiano: la preghiera il servizio della parola e il servizio delle mense. Poi capiscono che non possono fare tutto e istituiscono i sette diaconi. Questa crisi interna non viene negata, anzi viene apertamente riconosciuta e affrontata, riconoscendo che ci sono bisogni specifici e che ciascuno ha i propri doni. Gli apostoli si rendono conto ancora meglio che ognuno deve avere la sua funzione nella Chiesa e che da soli non possono fare tutto. La nostra diversità e i nostri limiti non devono sfociare in conflitti, ma diventare luogo di comunione in un reciproco dare e avere. Quello che ho, lo dono a te; quello di cui manco, lo ricevo da un altro. La comunità è proprio questo, un gioco di scambi dove non appiattiamo le differenze né neghiamo le fragilità, ma dove siamo tutti diversi e dove ognuno trova posto nella sua vocazione.
Gregorio Magno, Regola Pastorale 3, 20
Bisogna ammonire coloro che già dispensano con misericordia ciò che possiedono, a riconoscersi come posti dal Padrone celeste a dispensare aiuti temporali, e a offrirli tanto più umilmente quanto più capiscono che quel che dispensano è roba altrui. E quando considerano di essere stati costituiti nel servizio di coloro cui elargiscono i beni ricevuti, la superbia non esalti il loro animo, ma lo trattenga invece il timore. Perciò è necessario che badino con grande cura a non distribuire in modo indegno i beni che gli sono stati affidati, e a darne così a chi non devono darne, o a non darne affatto a chi devono qualcosa; a dare molto a chi devono dar poco, o a darne poco a chi devono dar molto; a disperdere inutilmente, per precipitazione, ciò che distribuiscono o a tardare a dare a chi chiede, affliggendolo così in modo colpevole. Non si insinui qui l’intenzione di ricevere gratitudine; e il desiderio di una lode passeggera non estingua lo splendore del donare. L’offerta del dono non sia accompagnata da una opprimente tristezza, ma neppure l’animo di chi offre si rallegri più del conveniente; e quando avranno compiuto tutto per bene, non attribuiscano nessun merito a se stessi così da perdere, tutto in una volta, quanto di bene hanno compiuto. Infatti, per non attribuire a sé la virtù della propria liberalità, ascoltino ciò che è scritto: “Se qualcuno esercita un ufficio, lo faccia secondo la capacità che Dio gli comunica” (1 Pt 4, 11). Per non gioire smodatamente delle proprie beneficenze, ascoltino ciò che è scritto: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare” (Lc 17, 10). E perché la tristezza non guasti la liberalità, ascoltino ciò che è scritto: “Dio ama chi dà con gioia” (2Cor 9, 7). Affinché non cerchino una lode passeggera in cambio del dono, ascoltino ciò che è scritto: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” (Mt 6, 3), cioè: a un dono fatto con intenzione pia, non si mescoli la gloria della vita presente, e il desiderio della lode non tocchi un’azione giusta. Affinché non cerchino il contraccambio della grazia fatta, ascoltino ciò che è scritto: “Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici o i tuoi fratelli o i parenti o i vicini ricchi, perché non avvenga che essi ti ricambino l’invito e tu ne abbia il compenso; invece, quando fai un pranzo, invita i poveri, i malati, gli zoppi, i ciechi; e sarai beato perché loro non hanno da restituirti” (Lc. 14, 12 ss.). E affinché non si tardi a dare ciò che va dato in fretta, ascoltino ciò che è scritto: “Non dire al tuo amico: Va’ e ritorna e domani ti darò, quando puoi dare subito” (Prov. 3, 28). Affinché, sotto il pretesto della liberalità, non dissipino inutilmente ciò che possiedono, ascoltino ciò che è scritto: “Sudi, l’elemosina nella tua mano”. E perché non diano poco là dove è necessario molto, ascoltino ciò che è scritto: “Chi semina con parsimonia, mieterà pure con parsimonia” (2 Cor 9, 6). Affinché, dove basta poco non offrano molto, e poi loro stessi, non potendo in alcun modo sopportare l’indigenza, erompano nell’impazienza, ascoltino ciò che è scritto: “Non perché ci sia sollievo per gli altri e tribolazione per voi, ma perché nell’uguaglianza, la vostra abbondanza supplisca la loro indigenza, e la loro abbondanza venga a supplire la vostra indigenza “(2 Cor 8, 13-14) [..] Affinché non avvenga che non diano nulla affatto a coloro cui qualcosa, anche poco, bisogna dare, ascoltino ciò che è scritto: “Da’ a chiunque ti chiede” (Lc 6, 30). Ma affinché non diano, anche poco, a chi non debbono assolutamente nulla, ascoltino ciò che è scritto: “Da’ al buono e non accogliere il peccatore: fa’ il bene all’umile e non dare all’empio”(Sir 12, 5-6). E ancora: “Poni il tuo pane e il tuo vino sul sepolcro del giusto, e non mangiarne né berne insieme con i peccatori” (Tob 4, 18). Infatti offre ai peccatori il suo pane e il suo vino colui che dà sussidi agli iniqui perché sono iniqui; perciò anche parecchi ricchi di questo mondo, mentre i poveri di Cristo sono afflitti dalla fame, mantengono con effusa liberalità gli istrioni. Chi invece dà il suo pane a un povero, anche peccatore, non perché è peccatore, ma perché è uomo; evidentemente non mantiene un peccatore, ma un povero giusto, poiché in lui non ama la colpa, ma la natura.