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San Villibaldo, monaco, vescovo e pellegrino europeo dell’Assoluto

da | 7 Lug 2025 | Vita ecclesiale

Tra Montecassino e Gerusalemme si disegna il cammino di un santo che unì Oriente e Occidente, contemplazione e missione, memoria e profezia. È San Villibaldo, figlio dell’Inghilterra cristiana del VII secolo e vescovo della Germania nascente, pellegrino in Terra Santa e monaco a Montecassino. Una figura luminosa e sorprendentemente attuale nella storia della Chiesa.

C’è un tratto di fuoco nella vita di San Villibaldo, un fremito che attraversa secoli e confini, facendo di lui un punto di congiunzione tra mondi che, nell’VIII secolo, sembravano divisi da abissi insuperabili: l’Inghilterra celtico-germanica, l’Italia longobarda, la Siria cristiana sotto dominazione islamica, e la Palestina sacra ai ricordi di Cristo.

Nato nel 700 circa nel regno anglosassone del Wessex, figlio del pio Richard detto “re” e di Wuna, sorella di San Bonifacio, Villibaldo fu cresciuto nella fede come offerta vivente, dopo essere sopravvissuto a una malattia infantile che parve mortale. A cinque anni fu affidato al monastero di Waltham, dove ricevette una formazione profondamente benedettina. Ma in lui fermentava il desiderio di vedere i luoghi santi, di toccare la fede con i piedi, come Abramo, come i discepoli.

Il lungo pellegrinaggio, il primo inglese in Terra Santa

Nel 721 partì per Roma con il padre e il fratello Winnibaldo. Il padre morì a Lucca, lasciando i due figli a proseguire da soli. A Roma, Villibaldo si ammalò gravemente di malaria, ma non rinunciò al suo sogno: partì per la Siria nella primavera del 722. Visitò Antiochia, Damasco, Emesa (dove fu arrestato come spia), e infine Gerusalemme, dove arrivò l’11 novembre 725.

Villibaldo non fu un semplice viaggiatore: fu un pellegrino del cuore, un uomo mosso dalla sete di Dio, dalla volontà di immergersi nei luoghi dove Cristo aveva camminato. Non fu un’operazione nostalgica: fu un’immersione profetica. Visse tra eremiti, conobbe monaci di lingua greca e siriaca, osservò, annotò, interiorizzò. Di quel pellegrinaggio venne fuori un resoconto – o meglio, lo dettò a una monaca, Huneberc di Heidenheim – che prese il nome di Hodoeporicon Sancti Willibaldi, il primo “diario di viaggio” inglese della storia, ma anche un documento spirituale, geografico, archeologico di altissimo valore. In esso si raccontano non solo i luoghi, ma le anime, le tensioni, le speranze di una Cristianità in esilio, pressata dall’Islam nascente.

A Montecassino, cuore del monachesimo, fucina d’Europa

Al rientro in Italia, dopo due anni a Costantinopoli, Villibaldo non tornò subito in patria. Scelse invece di ritornare a Montecassino, dove nel 717 l’abate Petronace aveva avviato la ricostruzione della grande abbazia di San Benedetto, distrutta dai Longobardi nel 577. Qui il monaco anglosassone trascorse un decennio di vita intensa, dedicandosi allo studio, all’organizzazione e alla preghiera.

Non era un tempo facile: le strade erano infestate da briganti, l’Europa era un mosaico di popoli in fuga, gli alberghi in rovina, l’agricoltura devastata. Ma Montecassino divenne, grazie anche al contributo di Villibaldo, un faro di rinascita. Nominato sacrestano, poi decano e infine portinaio, Villibaldo contribuì al consolidamento della Regula Benedicti, incarnandone lo spirito fatto di umiltà, ordine, equilibrio. Fu a Montecassino che Villibaldo comprese che la preghiera può diventare missione.

La missione in Germania

Nel 739, su richiesta di San Bonifacio e con il beneplacito di papa Gregorio III, Villibaldo fu inviato in Germania come missionario. Ordinato sacerdote e poi consacrato vescovo a Salisburgo, ricevette in affidamento la diocesi di Eichstätt, nella Baviera profonda. Qui fondò un monastero e un centro missionario a Heidenheim, dove lavorò al fianco del fratello Winnibaldo e della sorella Walburga, creando una comunità doppia, maschile e femminile, che irradiava evangelizzazione e vita benedettina.

L’esperienza monastica di Montecassino divenne il modello: Villibaldo si fece ponte tra la spiritualità contemplativa e la sfida missionaria, portando il respiro della Regola di San Benedetto nel cuore delle foreste germaniche. Fu vescovo per oltre quarant’anni: mite, forte, instancabile, “pastore pellegrino”, come è stato definito, più che principe della Chiesa.

Una figura singolare dell’Europa altomedievale

Villibaldo morì a Eichstätt il 7 luglio 781. Le sue reliquie riposano nella cattedrale a lui dedicata, dove ancora oggi viene venerato. Ma la sua eredità è ben più profonda: è quella di un cristianesimo che cammina, che si sporca i piedi nel fango del mondo, che prega e lavora, che contempla e costruisce. Dal deserto della Giudea alle colline bavaresi, la sua vita incredibile e originale fu un unico grande “hodoeporicon”, un cammino verso Dio che ha fatto la storia dell’Europa cristiana. È il santo del cammino, il monaco del confine, il vescovo del silenzio che evangelizza.

Una figura da riscoprire, un compagno per ogni pellegrinaggio dell’anima.

Festa liturgica: 7 luglio (9 luglio in Inghilterra)
Canonizzato nel 938 da Papa Leone VII
Il suo “Hodoeporicon” resta oggi un gioiello di spiritualità narrativa e un documento storico unico sull’VIII secolo cristiano in Terra Santa.

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