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Siria, cosa sta succedendo nel dopo Assad

da | 3 Lug 2025 | Politica

La Siria dopo Assad, tra speranze tradite e nuove paure religiose. Il difficile risveglio di un Paese martoriato

Dopo oltre un decennio di guerra civile, la Siria ha assistito nel dicembre 2024 a un evento che sembrava destinato a segnare un nuovo inizio: la caduta del regime di Bashar al-Assad. Ma la realtà che ha preso forma nei mesi successivi è ben più cupa di quanto sperato. Secondo un dettagliato report della United States Commission on International Religious Freedom (USCIRF), il nuovo assetto post-Assad, guidato da una coalizione a guida islamista con al centro il gruppo jihadista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), ha innescato un’altra spirale di violenze settarie, repressioni religiose e incertezza geopolitica.

La fine del regime e l’ascesa dei nuovi padroni

La conquista di Damasco da parte di HTS e alleati è avvenuta in un lampo, culminata l’8 dicembre 2024. Assad, ormai sostenuto solo da pochi alleati internazionali, è stato rovesciato da una coalizione eterogenea di ribelli islamisti e milizie sostenute dalla Turchia. A quel punto, molti siriani speravano in una transizione verso un sistema più giusto. In realtà, il nuovo potere si è mostrato da subito instabile, dominato da figure compromesse con la jihad globale e con un curriculum segnato da gravi violazioni della libertà religiosa.

HTS, riconosciuta dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica, ha cercato di presentarsi come un’amministrazione pragmatica. Il suo leader, Ahmed al-Sharaa, noto in Italia con il suo nome di battaglia Al-Jolani, ora autoproclamato presidente ad interim, ha promesso un governo “inclusivo” per tutte le etnie e religioni. Ma i fatti hanno seguito un copione ben diverso.

Religioni sotto assedio: la Siria che discrimina

Nel breve volgere di settimane, le promesse di inclusione si sono infrante contro la dura realtà delle persecuzioni religiose. Mentre il nuovo governo cercava riconoscimenti internazionali e la revoca delle sanzioni, miliziani e fedelissimi dell’amministrazione hanno compiuto attacchi brutali contro minoranze religiose. Le vittime? Cristiani, Alawiti, Druzi e persino musulmani sciiti. Episodi confermati includono la distruzione di chiese, esecuzioni sommarie e pogrom veri e propri.

Uno dei capitoli più drammatici è quello delle stragi di Alawiti: tra gennaio e marzo 2025, oltre 2.000 civili – in larga parte donne e bambini – sono stati massacrati lungo la costa siriana, a Latakia e Tartus. Le testimonianze parlano di esecutori stranieri, con accenti dell’Asia centrale, che giustiziavano famiglie intere con insulti religiosi. Al contempo, cristiani venivano costretti a indossare il velo o fuggivano sotto la minaccia delle armi.

Nel quartiere damasceno di Jaramana, in aprile, è toccato ai Druzi: 134 morti in una sola settimana. Anche qui, l’accusa – una presunta blasfemia online – è servita da pretesto per un’azione che Sheikh Hikmat al-Hijri ha definito “una campagna genocida”.

Costituzione islamista, protezioni a metà

Nel marzo 2025, al-Sharaa ha firmato una dichiarazione costituzionale temporanea che afferma l’Islam come “fonte principale della legislazione”. Sebbene venga garantita formalmente la libertà di credo, i diritti religiosi vengono riconosciuti solo a Islam, Cristianesimo ed Ebraismo – escludendo decine di altri gruppi religiosi. Una concessione ambigua, dietro cui si celano potenziali discriminazioni, già messe in pratica in diverse province.

Il governo ad interim ha anche nominato a ruoli chiave figure legate al passato jihadista: tra loro, Anas Khattab, ex comandante di al-Qaeda, e Abu Hatem Shaqra, noto per il traffico di donne yazide e la collaborazione con ISIS. La loro ascesa è stata criticata non solo dai siriani, ma anche da Washington.

Il nodo del nord-est e l’ombra turca

Al di fuori del controllo del nuovo governo resta il nord-est siriano, amministrato dalla DAANES, entità curdo-araba multireligiosa sostenuta dagli Stati Uniti. Ma anche qui, la fragile convivenza è minacciata dalle incursioni turche e dagli attacchi delle milizie pro-Turchia. A marzo, un raid ha colpito la chiesa di Mar Sawa a Tel Tawil, già distrutta tre anni prima da un’azione simile.

Un’intesa preliminare per integrare le forze curde dell’SDF nella nuova struttura militare siriana è stata annunciata a sorpresa in primavera, in un momento in cui il regime cercava di distrarre l’opinione pubblica internazionale dalle stragi sulla costa.

Le risposte (timide) di Washington e della comunità internazionale

La caduta di Assad ha posto gli Stati Uniti di fronte a un dilemma. Le storiche sanzioni – imposte dal 2004 e inasprite con il Caesar Act del 2019 – erano state pensate per colpire il regime di Damasco. Ma oggi il potere è nelle mani di un altro regime, che pur non essendo formalmente riconosciuto, ha ottenuto il primo segnale positivo: la sospensione di alcune sanzioni da parte dell’amministrazione Trump.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha chiarito che si tratta di “misure temporanee”, rinnovabili ogni 180 giorni, e condizionate a miglioramenti tangibili sul fronte della libertà religiosa. Ma molti osservatori si chiedono: come può un governo guidato da ex terroristi garantire diritti a coloro che per anni ha perseguitato?

Un nuovo esodo?

Molti cristiani si chiedono ormai se il Paese possa ancora offrire loro un futuro sicuro. Solo domenica 22 giugno 2025, un attentato suicida rivendicato dall’ISIS ha colpito la Chiesa Greco-Ortodossa di Mar Elias a Damasco, uccidendo almeno 28 persone durante la liturgia. Un deliberato colpo alla convivenza tra culture e fedi diverse. Non appena lo shock per l’attentato si attenuerà, molti potranno decidere di fare – nuovamente – le valigie. I cristiani torneranno a emigrare in Europa? Forse. Si sono già sentite le prime voci, soprattutto provenienti dalle famiglie delle vittime e dei gravemente feriti. Tuttavia, al momento tutto è ancora troppo “fresco” – sarebbe meglio dire caldo – troppo incerto, troppo traumatico. Le persone cercano conforto reciproco.

L’impressione è che la Siria post-Assad non sia (ancora) una nazione liberata, ma un Paese sotto nuova occupazione ideologica. Se gli islamisti hanno vinto la guerra, ora rischiano di perdere la pace, se non riescono a costruire un vero Stato di diritto per tutte le comunità religiose. E gli Stati Uniti? Nel valutare nuove strategie, dovranno evitare di scambiare il pragmatismo geopolitico per il silenzio complice.

La libertà religiosa resta oggi la linea rossa da non oltrepassare. Per il popolo siriano, prima sotto Assad e ora controllato da nuove élite jihadiste, ogni concessione internazionale dovrà partire da qui: rispetto per la fede altrui, protezione per le minoranze, giustizia per le vittime. Solo così si potrà parlare davvero di ricostruzione. E, forse, di pace. 

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