Periodico di informazione religiosa

La lingua di Dio. Un’accoglienza di migranti

da | 17 Lug 2024 | Vita ecclesiale

«Anche ieri sul molo di Leuca si parlava la lingua di Dio!»: raccogliamo le testimonianze degli operatori Caritas della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca che nella prima serata di due giorni fa – 15 luglio – hanno accolto sessantotto persone, approdate sulle coste salentine a bordo di una barca a vela.

Alle ore 18 è arrivata la comunicazione dall’unità operativa: “Sbarco in arrivo, sono un centinaio su una barca a vela, molti i bambini; arrivo previsto tra tre ore”. Il mare è buono e questo è il primo sbarco a Leuca del 2024 , l’ultimo c’era stato il 6 dicembre 2023. Uno sbarco in autonomia sul litorale gallipolino in primavera e poi la notizia terribile del naufragio di una barca a vela il mese scorso nelle acque tra Puglia e Calabria. La barca è stata condotta nel porto di leuca dalla Guardia di Finanza e le persone migranti hanno toccato terra in tutta sicurezza alle ore 20:30. I numeri parlano di 68 persone, irakeni, iraniani (moltissimi curdi tra loro) e due uzbeki (presunti scafisti). 14 dei migranti sono risultati di nazionalità irachena, divisi fra quattro donne, sette uomini e tre minori (una femmina e due maschi). Altri 54, invece, iraniani: sei donne, 40 uomini, altri sei minori (tre maschi e altrettante femmine).

«Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35): il Signore Gesù abita nell’altro, Egli è il suo volto; soprattutto, nella vita dei poveri, affamati, assetati, senza tetto, carcerati, malati, nudi. Due sere fa ne ha fatto esperienza il gruppo degli operatori Caritas della diocesi salentina di Ugento-Santa Maria di Leuca, accogliendo – in nome di Gesù e del Vangelo – questi fratelli e queste sorelle, dai più piccoli e indifesi agli adulti maggiormente stremati dalla traversata.

Sono partiti da Marmaris in Turchia e hanno viaggiato per 5 giorni e 4 notti. Alcuni di loro hanno lasciato la lora casa un mese fa, altri due settimane e una volta arrivati in Turchia hanno aspettato il giorno della partenza. Durante la distribuzione di acqua, succhi di frutta e biscotti abbiamo raccolto qualche testimonianza: Shady è una designer curdo-iraniana di 31 anni che insegnava nella sua città natale Sarpol-e Zahab nella provincia di Kermanshah (Iran al confine con l’Iraq); ci ha aiutato a conoscere il suo piccolo nucleo familiare composto dalla cucina Sara, 41 anni stanchissima e che soffriva la conseguenze di un pesante mal di mare; lei, al suo Paese, lavorava come assicuratrice. Poi Jamilia, 36 anni e madre di Canya, 13 anni, e di Anya, 5 anni. Fanno parte del nucleo più numeroso di questo sbarco: i curdi iraniani che, in genere, sono quelli che abbiamo incontrato meno frequentemente in queste occasioni.

Abbiamo anche scambiato qualche battuta con Milak Karimi, medico di 26 anni che chiedeva di mettersi in contatto coi suoi genitori in Iran ma non riusciva a ricordare il numero. Era visibilmente scosso. Una famiglia: madre, padre e bambina erano molto provati dal viaggio.

Accogliamo la testimonianza dell’operatrice Caritas Lucia: «Amir Ali, un ragazzo curdo-iraniano di 33 anni, ci ha mostrato con la gioia negli occhi un tatuaggio che aveva sulla mano: rappresentava il suo nome accanto a quello di sua moglie (Anousha? Amrusha?) con la data del loro matrimonio. Sedute vicino a lui c’erano le sue due sorelle maggiori. Poi Amir ci ha raccontato che la moglie lo avrebbe raggiunto in futuro, in modo da ricongiungersi e poter mettere su famiglia. Alla fine ci ha mostrato anche una bellissima foto di loro due felici, presa da uno scomparto del borsone chiuso con il lucchetto. Nel complesso, ciò che mi ha colpito osservando e aiutando queste persone è il loro sorriso e la voglia di vivere, di andare avanti, sempre fortissima, nonostante la stanchezza, la fame, la sete, la paura per il viaggio che hanno affrontato e per quello che gli potrà attendere. I bambini giocavano sul molo inseguendo i palloncini fatti con i guanti in lattice; i bambini hanno la capacità di giocare quando tutto il mondo intorno va a rotoli».

Oriana, operatrice Caritas, ci comunica: «Provo sempre tante emozioni davanti a qualsiasi fratello o sorella che mostra i segni di una “umanità provata”. L’atteggiamento più spontaneo è sempre il migliore. In questo caso è quello di porsi con un sorriso e la delicatezza di quando tieni in mano qualcosa di meraviglioso e fragile allo stesso tempo. Ieri sera davanti a noi, seduto a terra sul molo, non c’era qualcosa, c’era qualcuno: ognuno di loro e ognuno di noi. Mentre cerchi di offrire una parola, fare una domanda e stabilire un contatto, la mente registra immagini: molti di loro non hanno le scarpe. I suoni, il silenzio stanco di molti di loro e la canzone lieta di una bimba; odori, il sudore, il viaggio, il sole, la salsedine, la polvere e il sale sulla pelle. E senti che quella pelle è anche la tua. Mi viene in testa la domanda che Abrash mi ha fatto l’altro giorno. Lei è in Italia da qualche mese e il suo italiano è già scorrevole, ricco di parole, persino sorprendente per una bimba di 8 anni: “Maestra, che lingua parla Dio?”. Sorpresa ho quasi biascicato una risposta: “La tua e la mia – le ho detto – e quella di tutti i bambini del mondo”».

“I piedi nudi

le caviglie gonfie

le magliette sgualcite

gli sguardi confusi

i capelli arruffati

i bianchi ingialliti

le lacrime 

la paura

la speranza la luce che cambia

i palloncini fatti coi guanti”.

Fideliter ringrazia questi fratelli e queste sorelle per la loro testimonianza e per il prezioso servizio reso – ogni giorno e nel silenzio – al Regno di Dio e alla sua giustizia.

Ultimi articoli

Author Name