Dalla Corea a Roma, il Cardinale Lazaro You Heung-sik, forse proprio da Oriente, come una folgore, verrà la luce del prossimo pontificato
C’è una luce che viene da Oriente. Un bagliore mite e persistente che attraversa le distanze culturali e spirituali, affondando le sue radici nel cuore di una Corea ancora divisa, e che oggi illumina uno dei Dicasteri più delicati e strategici della Chiesa cattolica: quello per il Clero. È la luce del Cardinale Lazzaro You Heung-sik, figura discreta ma importante del pontificato di Francesco, testimone di una fede incarnata, appassionata, dialogica.
Nato il 17 novembre 1951 a Nonsan, nella Corea del Sud, in una famiglia non credente, il giovane Lazzaro affronta una vita inizialmente segnata dalla povertà e dalla ricerca. Percorreva ogni giorno 8 chilometri a piedi per raggiungere la scuola media, intitolata al martire Andrea Kim Taegon. Proprio lì, durante l’ora di religione, incontra per la prima volta il nome di Gesù. A sedici anni riceve il battesimo: un evento che trasforma radicalmente il suo orizzonte.
Ordinato sacerdote nel 1979 per la diocesi di Daejeon, intraprende un cammino di servizio sobrio e profondo. Diventa rettore del seminario nel 1998, poi vescovo coadiutore nel 2003 e infine ordinario della diocesi nel 2005. Il suo motto episcopale, Lux Mundi, rivela già allora la vocazione ad essere riflesso di quella luce che egli stesso ha ricevuto.
Nel corso del suo ministero in Corea del Sud, si distingue come promotore del dialogo e della pace. È stato a capo del Comitato per la Pace della Conferenza Episcopale Coreana, recandosi ben quattro volte nella Corea del Nord: esperienze forti, dove ha portato il silenzio della preghiera e la speranza di riconciliazione tra due popoli fratelli e feriti.
Nel 2014 accoglie Papa Francesco nella sua diocesi in occasione della VI Giornata della Gioventù dell’Asia: un momento memorabile, che cementa un rapporto profondo e spirituale tra il vescovo coreano e il pontefice argentino. Quattro anni dopo partecipa al Sinodo dei Vescovi sui giovani, chiamato direttamente dal Papa. Ed è ancora Francesco, nel giugno 2021, a nominarlo Prefetto del Dicastero per il Clero, conferendogli anche il titolo di arcivescovo-vescovo emerito di Daejeon. Nel Concistoro del 27 agosto 2022 lo crea cardinale, assegnandogli la diaconia di Gesù Buon Pastore alla Montagnola.
Chi è davvero il cardinale Lazzaro?
Ma chi è davvero il cardinale Lazzaro? Per capirlo bisogna leggere Come la folgore viene da Oriente, il libro-intervista in cui si racconta senza maschere, con la trasparenza di chi ha attraversato molte notti interiori e ha sempre scelto di rimanere fedele al Vangelo. Una vita segnata da incontri: con la Parola, con la povertà, con la comunità, con il servizio militare — dove, in clandestinità, organizza liturgie che conducono al battesimo venti commilitoni. E con i Focolarini, a Frascati, che gli insegnano uno stile ecclesiale fatto di comunione, umiltà e ascolto.
Nel libro emerge tutta la sua visione del sacerdozio: un ministero non autoritario né funzionale, ma esistenziale, centrato su Gesù e sulla fraternità. “Da vescovo — racconta — non ho mai cominciato una conversazione con un prete chiedendo quale fosse il suo problema, ma offrendo un caffè o un pranzo”. È una teologia della prossimità, quella di Lazzaro, dove il sacerdote è un uomo tra gli uomini, immerso nella storia concreta, capace di ascoltare e camminare accanto.
Le sue riflessioni sulla formazione sacerdotale sono taglienti e profetiche: critica il clericalismo, l’autoritarismo e la nostalgia di un tradizionalismo vuoto. Afferma che il prete non è un “mestiere”, né un’“identità separata”, ma un discepolo tra i fratelli, chiamato a vivere “la gioia quotidiana del Vangelo”. Denuncia con forza le derive autoreferenziali: “Se ho bisogno del ruolo per stimarmi, è una fragilità antropologica”.
Nel suo ruolo di Prefetto, Lazzaro ha dato impulso a una riforma spirituale della Chiesa, più che a una riforma burocratica. Si è battuto per una nuova visione del seminario, non come luogo isolato ma come laboratorio relazionale, aperto al contributo delle donne, alla sinodalità, alla pastorale concreta. È membro di numerosi dicasteri vaticani — dal Culto Divino ai Vescovi, dall’Evangelizzazione alla Cultura e Educazione — e contribuisce con la sua esperienza orientale a quel “decentramento spirituale” auspicato da Francesco.
Soprattutto, però, il cardinale Lazzaro è un uomo che non ha paura di ripetere ogni giorno il suo sì. Quando da giovane sacerdote incontrò Giovanni Paolo II, gli disse: “Sono pronto a dare la mia vita per lei e per la Chiesa”. La stessa frase l’ha sussurrata a Francesco da cardinale. Un’offerta totale, lucida, maturata nell’umiltà. “Il sacerdote — scrive — deve imparare ad attendere i tempi di Dio. Solo Lui conosce la profondità delle nostre vite.”
Il suo sogno? Che la Chiesa torni ad essere lievito, non potere. Che il cristianesimo in Oriente e in Occidente riscopra il volto mite e luminoso del Vangelo. Che ogni prete, ogni vescovo, ogni fedele impari a lavare i piedi dell’umanità, senza aspettarsi nulla, come il buon samaritano.
Le ragioni di un possibile pontificato
Alla luce di tutto questo, perché il cardinale Lazzaro potrebbe essere un papabile nel prossimo Conclave? Perché rappresenta una Chiesa che guarda a Oriente, non solo geograficamente ma spiritualmente: decentrata, mistica, semplice, umile, ma anche profondamente riformatrice. È la risposta a un’umanità stanca, che ha bisogno di una fede luminosa e mite, testimoniata da chi ha attraversato il dolore e la distanza per portare il Vangelo.
Il cardinale Lazzaro conosce l’Occidente e ne comprende le fragilità – ha studiato in Italia, ha avuto esperienze negli Stati Uniti, è uomo di relazioni internazionali – ma non si lascia imprigionare dalle sue logiche. Viene da una Chiesa giovane, la coreana, che non ha paura della testimonianza e della martyria. È fedele al magistero di Francesco, di cui è considerato uno dei più stretti collaboratori, ma capace di camminare anche con un proprio passo, nutrito di una sapienza antica e di una visione ecclesiale fresca e innovativa.
Potrebbe essere il primo Papa asiatico della storia. Ma più ancora che per motivi geografici o simbolici, il suo nome potrebbe emergere per la sua testimonianza di fede appassionata, la sua capacità di ascolto e dialogo, la sua attenzione ai giovani e alla formazione, la sua radicale adesione al Vangelo. Un Papa dal volto fraterno, pastore di una Chiesa che scende nella pianura del quotidiano per “lavare i piedi dell’umanità”.
Un’elezione nel segno dell’Oriente
Come scrive Papa Francesco nella prefazione al suo libro: “Abbiamo bisogno di decentrarci, compiendo un viaggio verso Oriente, mettendoci alla scuola di uno stile di vita spirituale ed ecclesiale che può rinvigorire la nostra fede”.
Forse proprio da Oriente – come folgore – verrà la luce del prossimo pontificato.
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