Periodico di informazione religiosa

Non soli, ma insieme. Il Giubileo delle Chiese Orientali Cattoliche

da | 13 Mag 2025 | Vita ecclesiale

Le Chiese Orientali Cattoliche nel Giubileo: un’icona di speranza nella pluralità dei riti

L’Anno Santo del 2025, indetto da Papa Francesco con la Bolla Spes non confundit, si presenta come un’occasione universale di speranza e riconciliazione. La Chiesa cattolica ha scelto di viverlo esaltando le sue molteplici tradizioni, nella comunione di una sola fede. In questo scenario, le Chiese orientali cattoliche — che professano la piena comunione con Roma pur mantenendo riti e discipline propri — sono chiamate a una partecipazione speciale e significativa. Dal 12 al 14 maggio 2025, a Roma, si terranno celebrazioni liturgiche secondo i vari riti orientali (armeno, bizantino, alessandrino, siro-antiocheno, siro-orientale), segno tangibile della ricchezza della Chiesa una e cattolica. La liturgia, cuore pulsante della fede orientale, resta il punto fermo attorno al quale ruoteranno pellegrinaggi, celebrazioni penitenziali e incontri ecumenici. L’unità nella diversità, scolpita nella varietà dei riti, manifesta non solo la bellezza della comunione ecclesiale, ma anche l’universalità del messaggio cristiano per un mondo lacerato da divisioni.

Liturgia, penthos e digiuno: i doni dell’Oriente alla Chiesa universale

La testimonianza delle Chiese orientali cattoliche nel Giubileo 2025 si fonda su una spiritualità che custodisce la centralità della liturgia e la profondità del penthos, la compunzione del cuore. Il pianto per i peccati, personale e comunitario, diventa sorgente di conversione e perdono, alimentato dalla liturgia penitenziale e dalla prassi ascetica del digiuno. Il digiuno, visto come arma dell’amore e mezzo di condivisione con i poveri, assume un significato profetico in un tempo di guerre e diseguaglianze. Papa Francesco ha esortato i fedeli d’Oriente a riscoprirne il valore, recuperando l’antica disciplina con una catechesi mirata che restituisca senso ai gesti degli avi. Anche la celebrazione della Settimana Santa e della Veglia Pasquale — con il Battesimo per immersione e la comunione sotto le due specie — viene proposta come occasione per ridare solennità e profondità ai misteri celebrati. Le comunità monastiche, infine, sono invitate a rendere visibile la bellezza della preghiera cristiana nel tempo attraverso le Lodi Divine, autentica scuola liturgica e teologica per il popolo e per i seminaristi.

Il volto delle Chiese orientali cattoliche nell’odierna Europa

Nel complesso mosaico religioso dell’Europa contemporanea, le Chiese orientali cattoliche si presentano come sentinelle silenziose di un’antica fedeltà e protagoniste attive di una diplomazia spirituale che intreccia memoria, testimonianza e carità. Il loro ruolo, spesso misconosciuto, è oggi più che mai centrale per comprendere la geografia ecclesiale del continente e per delineare nuovi orizzonti di comunione. Esse portano il profumo delle liturgie bizantine, armene, siriache e caldee nei sobborghi delle metropoli secolarizzate, dove celebrano la fede con la solennità delle loro tradizioni, custodendo un patrimonio che non è solo rituale, ma anche identitario, spirituale e canonico.

Sono comunità resilienti, spesso costituite da migranti e rifugiati provenienti da regioni martoriate del Medio Oriente o dell’Europa orientale. Il dramma della guerra in Siria e Iraq, la persecuzione in Egitto, le ferite ancora aperte in Ucraina hanno portato queste Chiese ad “accamparsi” in terre nuove, affrontando sfide pastorali, culturali e giuridiche inedite. L’Europa, che per secoli ha esportato missionari, oggi è chiamata ad accogliere questi figli di ritorno, figli della stessa Chiesa ma con volti diversi. In alcune nazioni, come la Germania o l’Olanda, la loro presenza si scontra con barriere amministrative o con una concorrenza sotterranea per l’uso degli spazi liturgici, dove talvolta i fratelli ortodossi, nonostante la distanza canonica da Roma, vengono preferiti “per cortesia ecumenica”. Tuttavia, la vocazione profonda di queste Chiese non è rivendicare territori, ma offrire una “giurisdizione della carità”, come insegna Papa Francesco: una presenza che si fa dono, non dominio.

La missione ecumenica delle Chiese cattoliche orientali d’Europa oggi

Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO) dedica l’intero Titolo XVIII all’ecumenismo, sottolineando come il ristabilimento dell’unità tra i cristiani non sia un accessorio, ma un dovere ecclesiale imprescindibile. Eppure, all’interno di questo mandato universale, le Chiese cattoliche orientali ricevono un incarico “speciale”: sono chiamate a promuovere l’unità tra le Chiese orientali, non attraverso atti politici o strutture, ma con la preghiera, la fedeltà alle antiche tradizioni, la collaborazione fraterna. Questa è la loro vocazione specifica nel cuore dell’Europa frammentata e pluralista: essere ponte, non muro; essere memoria viva di una cristianità indivisa.

L’approccio di Papa Francesco è profondamente sinodale ed ecumenico: l’unità si costruisce camminando, insieme. Come ha affermato il Pontefice nella Basilica di San Paolo fuori le Mura: “Se noi non camminiamo insieme, se non preghiamo gli uni per gli altri, se non collaboriamo in tante cose che possiamo fare in questo mondo per il Popolo di Dio, l’unità non verrà!” E le Chiese orientali cattoliche, con la loro familiarità liturgica e culturale con il mondo ortodosso, rappresentano una risorsa unica per tessere relazioni che uniscono nella diversità, specialmente in questo tempo segnato dalla divisione tra il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli sulla questione dell’autocefalia ucraina. La loro presenza umile ma capillare costituisce una diplomazia silenziosa ma efficace: quella del servizio, del martirio, della carità.

Testimoni di speranza, promotori di riconciliazione. Il futuro delle Chiese orientali cattoliche

Infine, se le Chiese orientali cattoliche vogliono continuare a essere fermento evangelico e lievito di unità, devono guardarsi da due pericoli: il ghetto culturale e il protagonismo ecclesiale. L’autenticità del Vangelo non si misura con le bandiere piantate sul territorio, ma con le vite trasformate, con i corpi curati, con le ferite guarite. La parabola del buon samaritano, così cara a Papa Francesco, resta la bussola per un discernimento che eviti ogni deriva istituzionalistica o autoreferenziale. La domanda non è chi ha diritto di stare qui, ma chi ha avuto compassione.

Queste Chiese si confrontano con una doppia sfida: da un lato, l’inserimento pastorale e civile nelle società occidentali, dall’altro la fedeltà alle proprie radici spirituali. In Paesi come l’Austria o la Germania, registrarsi come cattolici orientali implica obblighi economici e culturali, come il pagamento di tasse ecclesiastiche e l’apprendimento della lingua locale. Ma questa integrazione, se vissuta non come assimilazione ma come testimonianza, è il segno maturo di una fede incarnata nella realtà. Perché, come ricorda il magistero conciliare, la liturgia non è solo culto, ma annuncio. E in un’Europa secolarizzata, questo annuncio si fa più urgente che mai.

La “giurisdizione della carità”, cui allude il pensiero ecclesiologico di Francesco, è più efficace di ogni altra giurisdizione territoriale: basti pensare a esempi come l’Ospedale “del Papa” in Armenia o le opere di Caritas Georgia, autentici segni profetici che parlano al cuore delle Chiese ortodosse locali. La comunione con Roma non soffoca l’identità, ma la sostiene, come ha dimostrato la beatificazione dei sette vescovi greco-cattolici romeni martiri nel 2019 a Blaj, quando il Papa ha celebrato per la prima volta una Divina Liturgia secondo il rito orientale. Il successore di Pietro non dimentica i suoi figli orientali, anche quando sono pochi, dispersi, dimenticati.

Nel cammino del Giubileo, le Chiese orientali cattoliche sono chiamate ad essere “segno vivo di speranza” e “artigiani di dialogo”, come ricordava Papa Francesco ai vescovi orientali riuniti a Roma nel 2019. La fedeltà al Vescovo di Roma, spesso pagata con il sangue, si traduce oggi in una chiamata alla fraternità ecumenica, soprattutto con i cristiani delle stesse tradizioni orientali. Il Giubileo diventa così anche spazio per celebrare il perdono, scambiare gesti di riconciliazione e superare ferite storiche. Maria, “Tutta Santa”, icona costante nelle liturgie orientali insieme al suo Figlio, è la figura che racchiude questa speranza: madre che affida il Cristo al mondo e accompagna il popolo pellegrinante. 

Ecco allora la vera importanza delle Chiese orientali cattoliche: non solo testimoni di una memoria antica, ma protagoniste di un futuro possibile. Un futuro in cui l’unità cristiana non sarà il risultato di trattati diplomatici, ma il frutto della carità concreta, della preghiera condivisa e del cammino comune. Non una Chiesa che impone, ma una Chiesa che si inginocchia. Non una Chiesa che divide, ma una che abbraccia. Come pregava il Signore nell’ultima sera, “affinché tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21). E oggi, in Europa, il primo passo verso quella unità passa ancora una volta… per l’Oriente.

La celebrazione del Giubileo secondo i riti orientali, nella loro solennità e contemplazione, offrirà all’intera Chiesa e al mondo un’immagine luminosa di una fede che unisce, di un amore che consola, di una speranza che non delude. Così, dall’Oriente cattolico, la luce del Vangelo potrà ancora una volta risplendere in tutta la sua bellezza.

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